Human League

Human League

Sintetiche mutazioni

Come un eterno ritorno dell'uguale, la parabola concava dei pionieri del synth-pop, che, dalle suggestioni dell'elettronica teutonica, attraversano 30 anni di musica scalando pareti lunari e cadendo sulla terra, per rialzarsi con dignità e risalire all'antica luminescenza oggi indorata dall'alloro dell'emulazione pop

di Mimma Schirosi

"Since I was very young I've realised
I never wanted to be human size"


Proviamo a sentirci, per un attimo, sollevati dal presente al mega-pixel e raggomitoliamolo per andare ai primordi di una storia che si apre su un battito artificiale, ma ancora umanizzato, quasi in conflitto tra passato e futuro.

Verso la metà degli anni 70 i Kraftwerk aprono una crepa nel canone del rock, dimostrando quanto paritario divenga, progressivamente, il rapporto uomo-macchina, abbattendo la storica verticalizzazione dell'uno rispetto all'altro, finanche a rovesciarla. Ma la consapevolezza del presente doveva fornire diverse chiavi lettura, ognuna delle quali generante un particolare e irripetibile sguardo sul mondo, talvolta più grave e rassegnato, talaltra indignato e feroce e, in alcuni casi, volutamente trasgressivo ai limiti dell'apparente trash.
Se il ventaglio di possibilità risultava così ampio, non poteva sicuramente mancare la scelta di un modus cogitandi et operandi cerebrale, ma stemperato da una buona dose di stilosità, ben visibile nel look e nella parvenza. Verrebbe da pensare a un furbo opportunismo parassita della critica al sistema socio-culturale, un arrampicarsi sugli specchi della new wave per conquistare un'aura di immortalità, pari a quella dei grandi, guardando alla superficie della vicenda Human League. Ma la realtà che sottende ogni accadimento è tridimensionale e la storia che si racconta ne vuol mostrare anche la superficie più latente.

Sheffield, 1977: in un clima infervorato dall'orda punk e contaminato dalle sperimentazioni a più mani, nell'ambito dell'elettronica, con protagonista il synth, strumento che segna lo iato tra realtà e artificio, i due programmatori Martin Ware e Ian Craig Marsh abbandonano, per un attimo, la stanza dei bottoni, per dedicarsi a un progetto che possa conciliare lavoro e passione.
Come emersi dalle lande del glam-rock e innamorati dal potenziale avanguardistico del suono artificiale, decidono di acquistare un sintetizzatore Roland che caratterizzi nitidamente la propria musica. L'embrione si chiama The Future, animato, al suo interno, da Adi Newton, di lì a poco migrante verso l'esperienza Clock Dva. La scelta cade, allora, su Phil Oakey, fascinoso ed etereo portiere di un ospedale. La new entry segna, oltre alla svolta decisiva verso lo show business, anche la nuova nomenclatura: i The Future diventano The Human League, rifacendosi a un videogioco simulante la guerriglia tra umani e androidi per l'indipendenza dalla terra. Le prime demo risalenti alla neonata formazione verranno poi raccolte in The Golden Hour Of The Future, ad opera di Richard X. Ad anticipare il salto nel delirio della major e del successo, il singolo "Being Boiled/Circus of Death" e l'Ep The Dignity of Labour, che usciranno, nel 1979, per la neonata Fast Product. Materiale che verrà, in seguito, inserito sulla ristampa di Reproduction. Il singolo è riempito da getti laser a far largo tra folle pietrificate ("Being Boiled") e da passeggiate marziali nel vuoto oscuro e terrificante di volti dai contorni quasi cancellati ("Circus of Death").
La mossa è abile e sancisce, presso il circuito indipendente, un'attenzione che, attraversata dalla nuova entrata, in seno all'organico, di Adrian Wright, visual artist, porterà, nel 1979, al contratto con la Virgin.
Senza fare controproducenti salti nel vuoto, quasi a sperimentare l'impatto su di un pubblico più variegato, con lo pseudonimo "The Men", viene inciso il singolo "I Don't Depend You", ammiccante a certa disco di discendenza glam, immediatamente seguito dall'Ep The Dignity Of Labour, cavalcata di umanoidi in quattro tempi: dopo la rottura di ogni equilibrio in "The Dignity Of The Labour Pt 1", segue uno sbarco stupito sulla Luna poi esplorata alla moviola nella "Pt 2" e l'incanto di un'eco siderale nella "Pt 3", sino all'inquietante languore onirico della "Pt 4".

La parabola sembra crescere in maniera esponenziale con Reproduction, album che, battendo sul tempo Soft Cell e Depeche Mode, costruisce l'ossatura dell'artificio synth-pop.
Per quanto l'embrione possa sembrar effimero e fragile, la realtà è un disco di raffinata e perversa bellezza, quasi specchio fedele di chi ne interpreta i testi. L'architettura sonora è incastrata con una cura che rasenta la perfezione, le immagini evocate lunari e ansiosamente angosciose, la voce di Oakey nevrotica e teatrale, il battito quasi perforante ("Almost Medieval"). Lo sguardo rivolto a una sinuosa, elettrica danza ritrova il suo luogo naturale nella triade "The Path of Least Resistance", "Blind Youth" e nel fortunatissimo singolo "Empire State Human", dagli inserti robotici e dal refrain fulminante e contagioso, giusta chiave d'accesso alla chart.
La sontuosità della ballata, dalla sua forma più meccanica ("The World Before Last"), sino a una carezzevole, stellare dolcezza, direttamente riconducibile al codice new romantic ("Morale... You've Lost That Lovin' Feelin'") caratterizza, in una sorta di risvolto della medaglia, il resto dell'album che, nella versione originale, si chiude con un colpo d'acceleratore verso l'infinito ebbro di "Zero As a Limit".

Nella ristampa attualmente disponibile, in veste di bonus, i singoli e l'Ep summenzionati.

Il parto gemellare del 1980 genera tre eterozigoti: "Non Stop Erotic Cabaret" dei Soft Cell, l'omonimo "OMD" e Travelogue. Il grembo è lo stesso, un sound forgiato dal sintetizzatore e dal cantato che sfuma nel languore osceno di Almond, passando attraverso lo sperimentare estroso di McCluskey, sino alla stilosità tesa di Oakey. In effetti, la peculiarità resta identica, benché Travelogue presenti delle evidenti differenze rispetto al primo disco, scongiurando ogni pericolo di giustapposizione: laddove Reproduction, nella parvenza di un'istintiva accessibilità, celava uno spleen a tratti "esoterico", Travelogue, dilatandosi in movimenti più aperti, spesso accostabili proprio all'omonimo degli OMD ("Touchbles", "Dreams Of Leaving"), diluisce la vischiosità dell'esordio in un fluire strumentale più agile ("Toyota City" e "Gordon's Gin"). La marzialità dell'incedere lascia le proprie tracce anche qui ("Black Hit Of Space"), con una tastiera futuristica e rilucente pallori lunari, che diventa poi carica di aspettativa nel prosieguo ("Only After Dark"), mentre il basso ansiogeno preconizza gli imminenti esordi dei Depeche Mode ("Life Kills"). Indizi di un piccolo pavoneggiarsi à-la Almond, preferendo la via del narcisismo, piuttosto che dell'ambiguità, aprono "Marianne", gioiellino di synth-dance capace di spiazzare i Duran Duran di "Girls On Film", inaspettatamente seguita dal delirio cantilenante di "Rock'n Roll Night Clubbing", dall'apertura finto-psycho-billy, scandita da un battito di mani. Il genio che, al momento opportuno, sveste gli abiti di scena per venir fuori nella sua drammatica magniloquenza, alla stregua di un input inconsciamente wagneriano, si svela, sul finale, in "Tom Baker" e in una strumentale "Cruel" che segue la scia lasciata dalla cometa del Bowie berlinese.

Siamo nel 1981, la "plasticosi" avanza inesorabilmente, l'estetica del ridondante si avvia verso l'apice, e il mostrare se stessi è un gioco sempre più piacevole. Gli Human League, scissi nella futura direzione da seguire, dopo un rimescolamento che conduce Ware e Marsch verso l'esperienza Heaven 17, convincono Wright a dividersi tra luci e synth e inseriscono nelle nuova line-up Ian Burden al basso, insieme a due coriste diciottenni, Susanne Ann Sulley e Joanne Catherall. Ci si volge, così, a una leggerezza aerea e trasognata che conduce direttamente a Dare (1981), ulteriormente arricchita di una nuova chitarra, quella di Jo Collis. L'album, nel rispetto dei tempi, con la new entry delle due avvenenti vocalist, restituisce un'immagine del gruppo distante dall'essenzialità della fonte d'ispirazione teutonica.
L'intento dancefloor si coglie immediatamente: "The Things That Dreams Are Made Of" è intro acido e gommoso di tastiere, immediatamente seguito dai granelli di zucchero stellare che "Open Your Heart" lascia cadere. Amabili svenevolezze new romantic lambiscono il palpito sintetico e sinuoso di "Darkness", proseguendo in un cantilenare à-la Gahan riveduto e illuminato da qualche spiraglio di luce in più ("I Am The Law"). Tornando a una suggestione bowiana, sul finale, ci si muove nei territori di un dandismo decadente e fumoso ("Seconds"), che si fa ancora più manierato in "Love Action (I Believe in Love)"), mentre la chiusura è una gustosa e irresistibile strizzatina d'occhio al business, con l'hit dance "Don't You Want Me?", aggraziata ulteriormente dal coretto femminile.

La distanza che separa Dare dall'incisione di un nuovo Lp è il teatro di un progressivo smarrimento dello spleen originario: viene inciso Fascination, Ep che, svuotando di sostanza l'antefatto, riluce delle due hit "Mirror Man" e "Fascination", patinato giochino elettro-pop.
Il passo successivo, infatti, scivola su una morfologia commerciale, fatta di una materia sonora più lattiginosa e piatta. Hysteria, del 1984, si apre con una breakdance sintetica, la cui tastiera, quasi appesantita dall'eccesso, si vota al piattume ("I'm Coming Back"). Addirittura con piglio funk e coro quasi nero arriva ad aprirsi l'altra fustigazione dance di "Rock Me Again And Again And Again", seguita dal buonismo sonnolento di "Louise", chiusa da uno spoken a metà tra strada tra il nervo bowiano e il savoir faire di Bryan Ferry. Un respiro lo si tira con "Lebanon", hit del disco che pare risanare la situazione, tornando al risollevarsi verso le stelle degli esordi, e aderendo perfettamente ai canoni della new wave più stilosa. Sul finire, una discreta danza sintetica, ma nuovamente patinata nel ritornello ("Life on Your Own"), per chiudere su un altro esercizio di narcisismo con coretto caramellato, sfumato in un giro di basso à-la Cure e condito di tastiera dinamica ("Don't You Know I Want You").

Nel 1985, tra yuppie e paninari, Oakey può realizzare uno dei suoi sogni: collaborare con l'eroe della sua velleità giovanili, il synth-guru Giorgio Moroder, con il quale realizza il singolo "Together In Electric Dreams", colonna sonora del film omonimo. L'affiatamento dura il tempo di un album, Philip Oakey And Giorgio Moroder, destinato a rimanere nella penombra polverosa degli scaffali.

Il 1986 segna quasi il punto di non ritorno, per la band. Fuoriuscito Callis ed entrato nell'organico il batterista Jim Russell, la virata verso un sound di facile uso e consumo segue le coordinate stabilite dai nuovi produttori che la Virgin decide di affiancare: Jam e Lewis. Il parto quasi indesiderato è Crash. Le atmosfere, per quanto ancora segnate dalla matrice-tastiera, si fanno sempre più immediate e tendenti a un funk spensierato e senza pretese ("Swang"). Brillante di un'unica hit che restituisce l'afflato new romantic, vicino a certa materia Scritti Politti ("Human"), Crash perde progressivamente di tono, assumendo le sembianze di una colonna sonora per telefilm americani con protagonisti pseudo-smaliziati adolescenti del college ("I Need Your Loving") e con tanto di sigla felicemente sincopata sullo sfondo di un festino elettrico ed elettrizzato ("Love On The Run").
Lo sciroppo di glucosio umidifica il finale quasi del tutto lasciato al miagolio imbambolato delle coriste ("Love Is All That Matters"), con una chiusura più acida ed elaborata, giocata su un cantato maschile austero, echeggiato da sottili riverberi femminili, vicino ai Gang Of Four più epidermici.

Gli anni 80 si chiudono con un ulteriore avvicendamento della line-up, che pare essere diventato l'ulteriore marchio distintivo della band, e il rifiuto della Virgin di confermare il contratto, dopo il flop clamoroso e nemmeno troppo incomprensibile di Romantic?.
L'album, persi per strada i veterani Adrian Wright e Ian Burden, sostituiti da Neil Suttton e Russell Dennett, risente notevolmente del cambio di rotta, toccando, forse, l'apice della noia e del deja-vu. L'apertura, con "The Stars Are Going Out", non promette nulla di nuovo: un sound che rimugina inutilmente su di sé, insieme a un coro asettico, immediatamente seguiti da tastiere patetiche e obsolete ("Heart Like A Wheel"), oppure forzatamente spumeggianti, ("Mister Moon And Mister Sun"). La saga prosegue, come sigla di cartone animato in "Let's Get Together Again". Intorno alla fine, si corre il rischio di cadere nella dance più commerciale, all'interno della quale i coretti divengono quasi insostenibili ("Soundtrack To A Generation"), segnando tristemente anche la chiusura, con un Oakey quasi esiliato al contro-canto ("A Doorway").

Gli anni '90 si aprono con il passaggio alla EastWest, per la quale viene inciso, nel 1994, Octopus, lanciato in orbita dall'easy-listening di "Tell Me When". Per quanto l'album goda di una sorta di lifting sonoro, dovuto all'uso delle nuove tecnologie che riescono, per un attimo, a strapparlo alla nostalgia dei bei tempi che furono, si propende ancora per un'immediatezza troppo sfacciata ("One Man In My Heart"), tuttavia stemperata da un timido accenno all'antica cerebralità ("Words"), che diventa patinato sottofondo elettronico da club à-la page, recuperando un cantato austero e baritonale ("Housefull Of Nothing"). La volontà di rinnovarsi conduce all'electro-pop più ammiccante e ballabile, studiato a tavolino per la dancefloor ("John Cleese; Is He Funny?"), con una chiusura energizzata dai tanto amati effetti laser ("Cruel Young Lover").

Un silenzio di oltre cinque anni indurrebbe a pensare allo scioglimento della creatura mutante, ma, nel 2001, quasi come presenza al nuovo millennio, per la Papillon, sussidiaria della Chrysalis, esce Secrets, album che, proseguendo sulla strada di Octopus, continua a godere di nuova giovinezza.
La produzione è accurata e aggiornata, e la voce di Oakey inalterata, ancora una volta accompagnata dalle due coriste che sembravano aver irreversibilmente attirato la band nel vortice di un'estetica troppo alla moda. Stavolta, però, Oakey pare ritrovare l'embrione smarrito di sé, e torna a padroneggiare la scena con sicurezza ("All I Ever Wanted"), conferendo al tutto un nerbo languidamente drammatico ("Shameless"). Non si disdegna nemmeno il tunz tunz più sincopato, acido e siderale, recuperando il mood robotico dei primordi ("The Snake"), seguito da un autentico gioiellino sospeso a metà strada tra il viaggio trip (hop) e l'electro più raffinata ("Ringinglow"). Una cascata di effetti avvolge il basso e la tastiera, in cui, poi, con grazia magistrale, entra Oakey, privo di ogni imbarazzo, di fronte alle nuove tecnologie e alle nuove compagnie a nome Ladytron ("Reflections"), per poi proseguire con una citazione capace di sfiorare persino Jean-Michel Jarre ("Brute"). Immediatamente preceduto da uno strumentale gioco di tastiera ed effetto ("Release"), arriva il finale, solare electro-pop immediatamente fruibile sin dagli strati più epidermici.

E nel 2002 salta fuori una raccolta che, con un'operazione di recupero dello scatolame chiuso in soffitta, rende nuovamente nitido il ricordo dei 25 anni trascorsi. The Golden Hour Of The Future comprende i primi singoli incisi dagli Human League e dal loro embrione, The Future. Naturalmente l'atmosfera è tesissima e alterata, il gioco di tastiere tappeto sonoro per una voce altera e drammatica ("Dance Like A Star"), in alcuni passaggi talmente apocalittica da ricordare il delirio, talora minaccioso ("Looking For The Black Haired Girl"), talaltra trasognato ("Blank Clocks") di Alan Vega. Il giro di boa verso la seconda parte della preziosa raccolta si apre con l'ensemble di suoni incantati, quasi alla stregua di bosco lunare nell'omaggio al surrealismo ("Dada Dada Duchamp"), per poi andare a riprodurre il balbettio kraftwerkiano sino all'ossessione ("Daz").
Da un dancefloor post atomico ("Disaster Dance"), si viene catapultati in una sorta di paradossale western su Marte ("Reach Out - I'll Be There"), per giungere al capolinea dopo un angosciosa corsa di tastiere dispiegate su una chitarra monocorde ("New Pink Floyd").

Come tante altre band della loro epoca, anche gli Human League sono stati oggetto di operazioni antologiche più o meno autorizzate. La prima raccolta ufficiale, Greatest Hits, esce nel 1988 a dieci anni di distanza dalla pubblicazione del singolo "Being Boiled": la gestazione del successore di "Crash" è lunga e la Virgin pertanto decide di prendere tempo. Nella tracklist ci sono molti successi ma non c'è spazio per brani inediti - il singolo che sarà estratto per promuovere la compilation è "Love Is All That Matters" (brano già incluso in "Crash" ma qui opportunamente ri-editato), corredato con un videoclip che tenta di riassumere, con un collage di video storici, un decennio di onorata attività. Ci sarà anche un aggiornamento dell'antologia nel 1995, poco dopo il momentaneo trasloco degli Human League alla East West: la ristampa di Greatest Hits esclude (neanche troppo a sorpresa) i due 45 giri di "Romantic?" ma vede comunque delle interessanti aggiunte in scaletta, come "Tell Me When" e un nuovo singolo, "Stay With Me Tonight", che risale sempre alle sessions di "Octopus". Il nuovo remix di "Don't You Want Me", ad opera del famoso dance-act tedesco Snap, purtroppo non regge il confronto con l'originale e suona oggi irrimediabilmente datato.

Le uniche vere hit contenute in Soundtrack To A Generation, contraddittoria compilation della Disky Communications, sono "Human" e la collaborazione tra Oakey e Giorgio Moroder ("Together In Electric Dreams"). Per il resto è possibile rintracciare una scelta casuale di album tracks tratte da "Hysteria", "Crash" e "Romantic?". Un successivo "best of" compilato dalla stessa etichetta olandese senza la collaborazione della band ha invece mescolato grandi successi (ma escludendo proprio "Don't You Want Me"), rare b-sides e parecchie fan-favourites.
Nel 2003 esce la terza raccolta di successi ufficiale, The Very Best Of The Human League. La Virgin stavolta fa le cose in grande: oltre a racchiudere diciassette canzoni che vanno da "Being Boiled" ad "All I Ever Wanted", rimasterizzate in digitale da Adam Nunn presso gli studi Abbey Road di Londra, la nuova retrospettiva allega un bonus disc (solo nell'edizione limitata) con nuovi remix electro-clash commissionati dalla band per l'occasione ed è disponibile, per la prima volta, anche su Dvd. L'omonima raccolta di videoclip ed esibizioni dal vivo è ancora più esaustiva del supporto fonografico - ci sono infatti anche "I Need Your Loving", "Love Is All That Matters", "Soundtrack To A Generation" e una pregevole registrazione live di "The Stars Are Going Out" catturata durante un programma televisivo di Jools Holland. Per andare incontro ai fan delusi dai nuovi remix la Virgin pubblicherà poi, direttamente a medio prezzo, Original Remixes & Rarities, una collezione di versioni 12" e lati B come "Non Stop" (dal singolo "Open Your Heart"), "Hard Times" (retro di "Love Action"), "You Remind Me Of Gold" (b-side di "Mirror Man") e "Total Panic", brano che ha esordito su supporto digitale nel 1988 all'interno del Cd singolo "(Keep Feeling) Fascination". Il primo album live degli Human League, Live At The Dome, esce nel 2005.

La quadratura del cerchio pare chiudersi con geometrico incastro, l'eterno ritorno dell'uguale riporta ogni cosa alla matrice originaria, e agli emuli non resta che la nevrosi da copia fedele dell'originale.
La tentazione di cristallizzare un'immagine che lo specchio rimanda particolarmente attraente appartiene all'essenza di ogni umano dotato di una certa vocazione estetica. Ma la vanità non è un vizio capitale quando è inconsapevole, e alla caparbietà dello stile qualcosa si può perdonare. La corsa verso lo smalto più brillante, nella nuova decade, diventa forsennatae in pochi ne sfuggono: c'è chi simula ingenuamente, chi pesca con maggiore accortezza, chi si accosta alla giovane indie star del momento per arruffianarsi un pubblico imberbe - e c'è anche chi rimescola le carte di ciò che fu.
Philip Oakey ha perso i capelli e il suo aspetto oggi è più virile. Le sue vocalist non sono più delle fascinose ragazze, ma delle dignitose signore. E con ciò? Quanto può essere deprecabile la voglia di dire ancora qualcosa? Come in ogni argomentare, il nuovo Credo reca picchi e miserevoli cadute - ma loro sono pur sempre gli Human League, e noi non possiamo liquidare l'operazione in nome di un'anzianità anagrafica.
Prodotto dagli I Monster (Dean Honer e Jarrod Gosling) l'album è una sintesi di tutto ciò che è stato inciso dagli Human League in oltre un trentennio: "Never Let Me Go" mescola le produzioni di Martin Rushent a quelle di Jimmy Jam e Terry Lewis, "Breaking The Chains" riporta ai tempi di "Hysteria", "Single Minded" sembra un'outtake di "Dare!". "Electric Shock" suona come un omaggio a Giorgio Moroder meritevole di figurare in ogni stilosa playlist da fashion club che si rispetti. Un certo peccato d'ambizione emerge in "Privilege", che pare voler ricordare ai posteri l'esistenza delle prime gemme rigirandola maldestramente in un mood vicino alla produzione della Italians Do It Better - in un paradossale gioco in cui i maestri, carenti nell'idea, arrivano a scimmiottare gli allievi più brillanti.

Contributi di Alessandro Liccardo ("Greatest Hits", "The Very Best Of The Human League", "Credo").

Human League

Discografia

THE HUMAN LEAGUE

The Dignity Of Labour Ep (Fast Product, 1979)

7

Reproduction (Virgin, 1979)

8

Travelogue (Virgin, 1980)

7,5

Dare (A&M, 1981)

7

Fascination (Ep, A&M, 1983)

6,5

Hysteria (Virgin, 1984)

6,5

Crash (A&M, 1986)

6

Romantic? (A&M, 1990)

5

Octopus (EastWest, 1994)

6,5

Greatest Hits (antologia, Virgin, 1995)

Soundtrack To A Generation (antologia, Disky, 1996)

Secrets (Papillon, 2001)

7

The Golden Hour Of The Future (antologia, Black Melody, 2002)

7,5

The Very Best Of The Human League (antologia, Virgin, 2003)

Live At The Dome (live, Secret Records Limited, 2005)

Original Remixes & Rarities (antologia, Virgin, 2005)

Credo (Wall Of Sound, 2011)

6


PHILIP OAKEY

Philip Oakey And Giorgio Moroder (A&M, 1985)

Pietra miliare
Consigliato da OR

Human League su OndaRock

Human League sul web

Sito ufficiale
Testi
Fansite