Lustmord

Eco di un’ombra nel buio

intervista di Filippo Bordignon

Prima ancora che il termine “dark-ambient” fosse coniato nel 1990 dal musicista svedese Roger Karmanik, il britannico oggi naturalizzato statunitense Brian Williams, alias Lustmord, si rivelò pioniere e tra i massimi esponenti del genere fin dalla prima pubblicazione ufficiale, il terrorizzante “Lustmørd” del 1981, che si apriva col campionamento di “I'll Never Say Never To Always”, psicotica filastrocca di Charles Manson intonata da alcune ragazze della tragicamente nota comune Family.
Metabolizzate le più estreme intuizioni strumentali dei Throbbing Gristle, il de-compositore si distinse nella prima parte di carriera per uno stile collage-istico capace di portare la post-industrial music a impensabili vette di claustrofobia emozionale, stipando le proprie registrazioni lo-fi di field recordings effettuati in cripte e mattatoi, ovunque si ricavasse la suggestione di un’energia oscura. Con il monumentale “Heresy” (1990) si pervenne alla maturazione ultima, asciugando la formula e dipingendo un paesaggio che suona come un infinito girone infernale, un atto estetico che glorifica il rumore bianco da cui si levano, in lontananza, grida d’uomini e bestie.
Riconosciuto da buona parte della critica specializzata come il principale alfiere di quest’estetica nichilista, Lustmord è divenuto nei decenni il raro esempio di un marchio di fabbrica facilmente identificabile ma comunque sfuggente, un autore capace di prove discografiche ai limiti della sopportazione - magari in collaborazione con personaggi e band di prima caratura - dagli ex-Throbbing Gristle
Chris & Cosey agli Spk, passando per Robert Rich, Clock Dva e fino ai Melvins - come anche il richiesto sound designer per pellicole quali “Il corvo” di Alex Proyas (1994) e autore di colonne sonore, su tutte l’opprimente gioiellino “First reformed - La creazione a rischio” di Paul Schrader (2019).
Caustiche, categoriche, canzonatorie; le parole di Lustmord nell’intervista a seguire sembrano echeggiare la sua musica, illuminando appena zone d’ombra e misteri che, forse, per preservare e accrescere il proprio valore, non vanno semplicemente svelati.

Brian, sotto un profilo esclusivamente musicale, qual è l’elemento determinante per un brano di successo?
La musica tende a essere un’esperienza molto personale e soggettiva, quindi lo stesso brano può avere un modo diverso di essere “di successo” per persone diverse. Nel mio caso, con il mio lavoro, il fatto che sia un successo o meno non è rilevante. Non è secondo questi metri di paragone che mi approccio o giudico la musica.

Colonne sonore per il piccolo e grande schermo, per videogiochi, perfino per spot pubblicitari; il modus operandi resta lo stesso di quello per la musica non commissionata?
Il processo è lo stesso. Cambia semmai che con le colonne sonore ti pagano di più e la musica deve necessariamente muoversi parallelamente agli intenti del film che stai sonorizzando. Un album, invece, racconta una storia a sé stante.

In ambito compositivo, da cosa inizi?
Inizio sempre tenendo presente il concetto di partenza che ha evocato l’opera che andrò a realizzare.

Il tuo modo di intendere il materiale sonoro mi è sempre sembrato più vicino ai compositori di Musique Concrète, piuttosto che a quelli industrial.
La musica concreta non mi è mai particolarmente interessata, perciò non posso dire di averla seguita o che mi abbia ispirato.

Dunque chi sarebbe l’artista che ti ha segnato maggiormente?
Il produttore, musicista e compositore reggae e dub Lee Perry.

Cosa significa per te il termine “dark-ambient”?
Non ha alcun significato per me. È solo un’etichetta piuttosto sbrigativa che qualcuno si è inventato. Non è certo qualcosa o qualcuno con cui mi sento in sintonia.

Scorgi qualche connessione evolutiva tra band apripista del genere industrial, come Throbbing Gristle e Spk, e le generazioni successive dei vari Nine Inch Nails e Ministry?
Per quanto mi riguarda non c’è un legame diretto. Gli ultimi due gruppi che hai nominato sono solo rock band munite di campionatori. Il primo hip-hop e la techno di Detroit, quelli sì hanno una maggiore connessione con l’industrial e con quell’impeto a esplorare, ad abbracciare la sperimentazione per rompere le barriere esistenti.

Hai collaborato più volte con King Buzzo dei Melvins: cosa apprezzi maggiormente in lui?
È un musicista molto abile e mentalmente aperto, ed è anche una persona divertente e stimolante, per cui lavorare con lui è un piacere.

Che idea ti sei fatto del progetto di pandrogenia messo in atto da Genesis P. Orridge e sua moglie Jacqueline Breyer?
Gen era uno stronzo egocentrico e manipolatore quando era in vita, e il fatto che adesso sia morto non cambia nulla rispetto a questi fatti. E, certo, non ho mai speso il mio tempo pensando al lui.

Nell’ambito delle “field recordings” una figura centrale ma da noi in Italia sottovalutata e pressoché sconosciuta è l’ex-Cabaret Voltaire Chris Watson. La sua ricerca ti attrae?
Non considererei affatto Chris sottovalutato; lui è, semmai, un grande esperto di field recordings, di cui è più probabile che la gente abbia sentito parlare. Vuoi un nome sottovalutato? Il sound designer Alan Splet.

Sei parco, nelle esibizioni live. È una dimensione che non ti appartiene?
Mi piace molto esibirmi, ma non mi viene chiesto spesso. Uno dei fattori determinanti a riguardo, probabilmente, è che non ho un agente.

Qualcuno potrebbe pensare che, al pari della tua musica, tu sia una persona oscura anche nella vita di tutti i giorni.
E in base a cosa questo “qualcuno” sarebbe giunto a una conclusione del genere? Chi mi conosce bene conosce anche il mio senso dell’umorismo.

Hai mai sperimentato una paura paralizzante?
Questa è una domanda strana. No, non mi è mai capitato.

Ho letto che ti definisci ateo. Al di fuori della religione, hai fede in qualcuno e qualcosa così da ricavarne forza per affrontare gli imprevisti dell’esistenza?
Un ateo non ha bisogno di definirsi. Nel mio caso, non ho bisogno del sostegno o dell’approvazione di alcuna entità quando affronto una sfida o passo attraverso momenti di ansia e via dicendo. Sono perfettamente in grado di affrontare queste cose senza dover avere fede in qualcuno o qualcosa.

Vogliamo riconoscere almeno un merito, alle così dette religioni “istituzionalizzate”?
No.

Qual è l’aspetto più straordinario dell’essere un artista?
(nessuna risposta)

Rispondimi allora a questa: non fossi diventato un musicista, oggi che staresti facendo?
Starei creando qualcosa al di fuori dal mondo della musica.

Discografia

Lustmørd (1981)
Lustmordekay (1982)
CTI (with Chris & Cosey) (1984)
Vhutemas / Arechetypi (with Graeme Revell) (1985)
Paradise Disowned (1986)
Heresy (1990)
A Document Of Early Acoustic & Tactical Experimentation (antologia, 1991)
The Monstrous Soul (1992)
Psychological Warfare Technology Systems (con Lagowski, come Terror Against Terror) (1992)
Crash Injury Trauma (come Isolrubin BK, 1993)
The Place Where The Black Stars Hang (1994)
Trans Plutonian Transmissions (come Arecibo, 1994)
Stalker (con Robert Rich, 1995)
Lustmord vs. Metal Beast (con Metal Beast) (1997)
Purifying Fire (antologia, 2000)
Metavoid (2001)
Zoetrope (2002)
Carbon/Core (2004)
Pigs Of The Roman Empire (con i Melvins, 2004)
Rising (live, 2006)
Juggernaut (2007)
Other (2008)
The Dark Places Of The Earth (2009)
Beyond (2009)
Heretic (2010)
Songs Of Gods And Demons (antologia, 2011)
The Word As Power (2013)
Things That Were (antologia, 2013)
Dark Matter (2016)
Machinenfest (2017)
Hobarth (2017)
First Reformed (Extended Motion Picture Soundtrack, 2019)
Trinity (2020)
The Fall - Dennis Johnson's November Deconstructed (2020)
Alter (con Karin Park, 2021)
Scorn (original soundtrack, 2022)
Much Unseen Is Also Here (Pelagic, 2024)
Pietra miliare
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