Thin White Rope - I pionieri del desert rock

intervista di Antonio Ciarletta

Dopo tanti anni si torna a parlare dei Thin White Rope. Roger Kunkel, chitarrista della leggendaria band californiana, ha pubblicato una serie di lavori per sola chitarra e altri pare averne in programma. Ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con lui. Siamo partiti dall'inizio della sua carriera musicale con i Thin White Rope, abbiamo discusso della sua militanza negli Acme Rocket Quartet e siamo infine arrivati ai suoi progetti attuali. Molto disponibile e attento, Roger ci ha parlato a cuore aperto delle sue esperienze artistiche, restituendoci in controluce un punto di vista interessante sull'evoluzione del rock americano di matrice underground tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. Buona lettura.

Cominciamo dall'inizio: quali sono stati gli artisti e le band che ti hanno fatto appassionare alla musica?
Mi sono innamorato della chitarra in tenera età. Mio padre era un appassionato di hi-fi e ascoltava Chet Atkins e altri musicisti country con il suo registratore a bobine. Iniziai a tormentarlo per avere una chitarra già dall'età di quattro anni. Mi regalò una chitarra classica e cominciai a prendere lezioni all'età di sei anni. Il suono della chitarra era la mia passione, non qualche gruppo in particolare, finché mio fratello maggiore prese ad acquistare dischi di musica rock. A quel punto iniziai ad ascoltare pop e rock alla radio. “Abbey Road” e la compilation “Hey Jude” furono due dei primi dischi di musica rock ad avere un grande impatto su di me. Mi travolsero. Poi portò a casa gli album dei Led Zeppelin e dei Deep Purple, e per anni mi fissai con Jimmy Page e Ritchie Blackmore. Al liceo avevo una band che suonava un sacco di quelle cose. Poi scoprii Iggy Pop, i Clash e i Pistols, e la mia sensibilità musicale cambiò.

Parliamo della nascita dei Thin White Rope: come incontrasti Guy Kyser?
Iniziai a frequentare il college a Sacramento, in California. Non ero sicuro di volerci andare, ma era un buon modo per trasferirmi in una città più grande e unirmi a una band. Un modo per incontrare altri musicisti con cui suonare era pubblicare un annuncio nei negozi di musica del posto. Ho messo un biglietto in un negozio menzionando i gruppi che mi piacevano. Ciò ha portato a una telefonata con Kevin Staydohar, che era già in contatto con Jozef Becker, il quale aveva suonato con Guy nella sua band pre-Thin White Rope, i The Lazy Boys. Quella divenne la formazione originale dei Thin White Rope. Abbiamo cominciato a provare in quel di Sacramento e abbiamo tenuto lì i nostri primi concerti, ma la scena a Davis (una vicina città universitaria) era più eccitante grazie alla stazione radio del college e alla scena musicale underground.

Uno dei componenti dei Lazy Boys era Scott Miller. Dopo un po' Miller lasciò The Lazy Boys per formare i Game Theory. Quali erano le connessioni tra i Thin White Rope e i gruppi del cosiddetto Paisley Underground? In quel periodo iniziale e successivamente.
Scott era un amico d'infanzia di Joe Becker (Alternate Learning, Game Theory, The Graves Brothers Deluxe, The Loud Family, The Sippy Cups, Thin White Rope, ndr). La sorella di Joe suonava le tastiere nei Game Theory. Steve Wynn e Kendra Smith avevano una band in città prima di far ritorno a Los Angeles. Anche i True West avevano sede a Davis. Scott ci aiutò a registrare il nostro primo demo. Anche Russ Tolman (chitarrista dei True West, ndr) ci diede una mano. Quei nastri suscitarono l'interesse di diverse etichette. La nostra sezione ritmica se ne andò e si unì ai True West per andare in tour. Quindi c'è stata molta impollinazione reciproca tra i gruppi citati. Quando emergemmo, fummo percepiti come una band neo-psichedelica, in gran parte a causa di queste connessioni. Una volta che il nostro country e il nostro blues iniziarono ad avere un pubblico, venimmo raggruppati nel genere alternative-country/cow-punk, poi fummo etichettati come "desert rock". Desert rock era una classificazione ragionevole, considerando che Guy era cresciuto nel deserto del Mojave e che i suoi testi esploravano quel tema. Anche se rimanemmo un po' perplessi dalle etichette che ci appiccicarono. Il nostro terzo album era deliberatamente a tema oceano, proprio per respingere l'etichetta di band "desert rock".

Thin White Rope - Roger Kunkel

 

A proposito di desert rock, con “Exploring The Axis” ne definiste le coordinate. Eravate consci, al tempo, dell'originalità della vostra musica?
Sapevamo di essere diversi dalla maggior parte delle band della scena, ma le nostre influenze e i nostri metodi non erano una novità. Batteria, basso e due chitarre con molta distorsione e solistica. Quell'album, però, mise in netto rilievo la scrittura di Guy. I suoi testi e il suo modo di cantare erano al centro della scena. La sua voce era inquietante, più grande e più profonda di quanto avessimo mai sentito prima. Divenne subito chiaro che Guy era uno scrittore eccezionale.

Ecco, cosa puoi dirmi di Guy? Un aneddoto, una storia, un lato del suo carattere... Irradia ancora oggi un'aura leggendaria.
Guy è una persona tranquilla, introversa, a volte socialmente impacciata, gentile e compassionevole, con uno spirito straordinario e un intelletto altrettanto straordinario. Ma poco più che ventenni, alimentati dalla giovinezza, dall’alcol e da qualche ambizione rock'n'roll, potevamo mostrare lati diversi del nostro carattere. Dover essere il frontman del gruppo era difficile per Guy, al punto da doversi preparare ai concerti con buone dosi di sigarette, caffè e alcol. Tutto ciò nel tempo lo ha logorato ed è stato, almeno in parte, il motivo che alla fine lo ha portato ad abbandonare il gruppo. Bevevamo tutta la notte e viaggiavamo. Se c'era qualcosa che valeva la pena scalare, come una di quelle torri che supportano i serbatoi dell'acqua, l'albero di una nave o il Colosseo a Roma, lo avremmo scalato. Era un lettore vorace e aveva un'impressionante conoscenza della storia naturale, dell'arte e della letteratura. Ero un po' intimidito, sinceramente. Per lo più andavamo d'accordo ed è ancora un caro amico, anche se non lo vedo spesso al giorno d'oggi. Ha iniziato a suonare il banjo e dieci anni fa ha formato una band bluegrass. Non penso stia suonando in questo periodo.

manifestothinwhiteropeQuella sorta di interplay tra la tua chitarra e quella di Guy mi ha sempre affascinato. In pratica, non c'era differenza tra ritmica e solistica. Come decidevate quali parti ognuno di voi due avrebbe dovuto suonare? C'entrano qualcosa il jazz e l'improvvisazione?
Sin dall'inizio volevamo suonare entrambi le parti di chitarra solista. I Television sono stati una grande influenza. Allora cominciammo a valutare l'opportunità di abbandonare la classica costruzione ritmica/solistica per abbracciare un approccio più orchestrato sulla combinazione delle singole parti. Ciò è venuto fuori soprattutto durante la registrazione di “Moonhead”. "Wet Heart" e "Take it Home" sono probabilmente due buoni esempi in questo senso. Dedicavamo una discreta quantità di lavoro a quel tipo di arrangiamenti. Abbiamo anche separato i suoni delle nostre chitarre per creare un panorama sonoro più ampio. Ad esempio, con una chitarra attaccata a un amplificatore Marshall e l'altra attaccata a un amplificatore Fender. Combinate con un feedback controllato, le cose potevano davvero decollare. Per quanto concerne l'improvvisazione, alcune parti erano adatte per essere improvvisate, soprattutto alcuni outro pazzeschi. Per il resto, la maggior parte della nostra musica era provata e arrangiata, anche se si è sottilmente evoluta nel corso delle tante esibizioni dal vivo. I voicing e gli accordi jazz erano rari e per lo più involontari, direi.

Veniamo a “Moonhead”. Che ricordi hai di quel disco? "Moonhead" (la canzone), "Wet Heart", "If Those Tears"... Mi sembra un album ancora più oscuro e apocalittico di "Exploring The Axis"...
Di solito cito “Moonhead” come il mio disco preferito dei Thin White Rope, a volte “Sack Full Of Silver”. Non ero soddisfatto di “Exploring The Axis”, in parte per la produzione troppo pesante, in parte per la mia inesperienza per ciò che concerne il lavoro in studio. Mi pareva di non riuscire a ottenere i toni di chitarra che avrei voluto; le cose sembravano artificiose. Avevo la sensazione che “Exploring The Axis” non riuscisse a catturare il nostro suono dal vivo. Anni dopo ha iniziato a piacermi di più. “Moonhead” è stato prodotto da un grande ingegnere del suono, che ci ha aiutato a essere noi stessi, catturando il suono della band in maniera più cruda e diretta. Inoltre stavamo migliorando dal punto di vista tecnico e musicale. Io ero soddisfatto del mio lavoro e del suono che avevo ottenuto dalla mia chitarra. Sono state due settimane di lavoro davvero appaganti. In quel disco le canzoni di Guy sono fantastiche. Direi che è l'album definitivo dei Rope. "Moonhead" era un vecchio pezzo di Guy. Io ho contribuito all'introduzione e per questo sono stato accreditato come co-autore, anche se credo fosse l'adattamento di una precedente versione. Comunque, è un pezzo molto oscuro! "Crawl Piss Freeze" è l'urlo di rabbia per un giovane amico che muore di cancro.

“Moonhead” fu accolto molto bene dalla critica, a quel punto ti aspettavi di vendere di più? È stato frustrante non riscuotere un grande successo di pubblico e diventare delle rockstar?
Sapevamo che la nostra musica non sarebbe mai diventata mainstream. Avevamo visto abbastanza del settore per sapere che sarebbe stato assurdamente ingiusto nei confronti degli artisti. Immagino sperassimo di arrivare in cima alla classifica delle college radio e della radio alternative, magari come Pixies, Sonic Youth ecc. Quando “Moonhead” venne pubblicato, restammo sorpresi dai passaggi radio che ci vennero dedicati e dal pubblico che attiravamo in Italia. Quando i Nirvana ebbero successo, noi stavamo già pianificando la nostra uscita di scena. L'Italia è stato il primo paese europeo a richiederci di esibirci e ci siamo divertiti moltissimo lì. Sarò sempre grato per i tour e le esperienze che abbiamo fatto. Rimasi piuttosto deluso quando Guy annunciò che avrebbe lasciato la band. Mi cambiò la vita. Lo convinsi a fare un tour conclusivo. Sono felice che ne abbiamo tratto un album dal vivo.

Infatti, in Italia i Thin White Rope erano, e sono ancora, una band amatissima. Cosa ricordi dei concerti nel nostro paese? In generale, mi pare di poter dire che i Thin White Rope fossero più apprezzati in Europa che negli Stati Uniti...
La nostra prima visita in Italia durò una settimana. Paolo Bedini dell'AZ music di Roma contattò la Frontier per invitarci. Se ricordo bene, la maggior parte degli spettacoli si svolsero all'aperto, nei parchi pubblici. Il primo a Bari. C'erano molte persone coinvolte. Il momento clou fu suonare a un grande spettacolo di beneficenza a Reggio Emilia, dove ci ritrovammo in cartellone con Billy Bragg, X e 10.000 Maniacs. Paolo non parlava molto l'inglese e quindi non avevamo idea che stavamo per suonare in uno spettacolo così grande. Con nostra sorpresa, il pubblico aveva familiarità con le nostre canzoni, ricevemmo una grande risposta. Paolo voleva espandere la sua attività nel Nord Europa e fece da booking per un paio di tour che ci hanno portato a Berlino e in Scandinavia. Quindi l’Italia è stata il nostro trampolino di lancio per i tour europei. C'è voluta un po' di attività on the road affinché ci facessimo strada nel vero e proprio circuito dei club. Nel 1988 Paolo organizzò il nostro improbabile e alquanto surreale tour in Unione Sovietica, una lunga storia. Per circa sei anni siamo venuti in Italia due volte l'anno. Abbiamo suonato in molte piccole città ed è stato sempre divertente. Amavo farlo.

Tornando ai dischi, che mi dici di “In The Spanish Cave” e di “Sack Full Of Silver”? “Sack Full Of Silver” mi sembra il vostro disco più alieno e ostile. Anche i testi di Guy mi sembrano molto duri e diretti...
“In The Spanish Cave” fu realizzato nello stesso studio e dallo stesso produttore di “Moonhead”, ma il nostro bassista, John von Feldt, era nuovo. Steve Tesluk aveva lasciato la band poco dopo la registrazione di “Moonhead”. Steve era un chitarrista in origine, imbracciò il basso proprio per unirsi alla band. Per questo il suo modo di suonare era molto melodico. Le sue linee di basso erano sorprendenti. Forniva un grande contributo al nostro suono e rimasi scioccato quando decise di andarsene, considerando il successo di “Moonhead”. Aveva iniziato una nuova relazione e si era trasferito a Los Angeles. John era un bassista rock più tradizionale, con un groove molto solido. Guy voleva alleggerire la sua scrittura e un po' del suo umorismo si insinuò nelle canzoni. "Mr Limpet", per esempio, è un omaggio a un vecchio film di Don Knotts, "Elsie Crashed The Party" è la storia di una carcassa di mucca che viene portata a casa afffinché partecipasse a una festa. La pesantezza è ancora il marchio di fabbrica di molti pezzi, ovviamente, soprattutto di "It's Okay", che diventò un punto fermo dei nostri live set. "Astronomy" rimane uno dei miei testi preferiti di Guy. "Red Sun", la cosa più vicina al successo a cui siamo pervenuti.
"Sack Full Of Silver" fu un grande cambiamento, con un songwriting più avventuroso e con Matt Abourezk alla batteria. Guy continuò a sviluppare il suo paesaggio con uno stile lirico onirico, geografico/geometrico. "The Triangle Song" e "On The Floe" sono ottimi esempi del suo stile. Il disco fu registrato da Tom Mallon, il batterista degli American Music Club. A quei tempi gestiva uno studio a San Francisco. Tom registrò molti gruppi di San Francisco anni Ottanta, oltre ai lavori degli AMC. “Sack Full Of Silver” possiede un'ampia gamma dinamica e stilistica. Eravamo maturati, direi. Fu anche il nostro debutto su major. La Frontier aveva firmato un accordo di licensing con la Rca. La cosa, però, non ci giovò granché. Ci procurò una recensione su Rolling Stone (e dimostrò che stavano ignorando le band indipendenti), per il resto pochissima promozione. In alcune parti d’Europa, ci procurò più svantaggi che vantaggi, perché la Rough Trade non ci ha più distribuito.

"The Ruby Sea" è ancora un ottimo disco, ma all'inizio degli anni Novanta il contesto era cambiato e forse voi non eravate più percepiti come una "new thing". Cosa portò allo scioglimento della band?
Registrammo “The Ruby Sea” a Los Angeles, in uno studio molto carino, con la produzione di Bill Noland (Wall of Voodoo, Human Hands). Fummo contattati da Butch Vig per produrre il disco. Ci piaceva il suo lavoro, ma voleva che andassimo a Madison. Alla fine decidemmo di non andare. Nel frattempo i Nirvana firmarono un contratto con la Geffen e, con un budget più corposo del nostro, assunsero Butch e lo portarono a Los Angeles. Registrarono “Nevermind” nello stesso momento in cui noi registrammo “The Ruby Sea”. Eravamo amici del loro manager, John Silva. John ebbe l'idea di una collaborazione. Noi saremmo dovuti comparire come guest in un disco dei Nirvana e viceversa, ma nessuna delle due band ne era entusiasta. Andammo tutti insieme a un concerto dei Butthole Surfers, dove io e Kurt ingaggiammo un incontro di wrestling tra ubriachi. Vabbè. Intanto Stoo Odom aveva sostituito John von Feldt al basso. Le session furono divertenti. Il risultato fu di mio gradimento, anche se il disco mi sembrò troppo rifinito e sovraprodotto.
Lo scioglimento dei Thin White Rope fu causato dall'abbandono di Guy. Durante la registrazione di “The Ruby Sea” aveva turbolenze relazionali. Penso che la combinazione di tutto ciò, ossia del disagio nell'essere il frontman di una rock band, della mancanza di successo commerciale negli Stati Uniti, dei cambiamenti di formazione e delle le fatiche del tour, lo abbiano messo al cospetto della sua infelicità e gli abbiano fatto capire che un cambiamento importante nella sua vita era necessario. Non guadagnavamo molti soldi. I tour negli Stati Uniti erano un business in pareggio. I tour europei erano più grandi e migliori, ma tolte le spese, non rendevano poi molto. Credo che la ragazza che vendeva magliette ai concerti abbia guadagnato più di me durante il tour di “The Ruby Sea”.

“The One That Got Away” è uno dei migliori live album della storia del rock. Qualche anno dopo hai messo su gli Acme Rocket Quartet, una sorta di crossover tra Ennio Morricone, l'idolo di tuo padre Chet Atkins, il jazz e la musica surf...
Penso che il tour europeo dell'estate del 1992 fosse già in programma quando Guy mi chiamò per dirmi che avrebbe lasciato la band. Gli concessi un po' di tempo, poi riuscii a convincerlo che un ultimo, breve, tour sarebbe stato un buon modo per uscire di scena. Suonammo in qualche festival, un paio di date in Italia e poi a Gent. Lisa Fancher della Frontier organizzò la registrazione portando un multitraccia e coinvolgendo un tecnico. Eravamo determinati a restituire uno spettacolo epico. Matt Abourezk è anche un fotografo e portò l'attrezzatura fotografica, che venne utilizzata da sua moglie. Girarono delle riprese durante il tour, che divennero il video del “The Axis Calls Final Tour” (titolo stupido, pensai). Sono grato a tutti. Adoro quella registrazione. Ha davvero catturato l'essenza dei Thin White Rope. Spero che Frontier faccia uscire un doppio vinile prima o poi.
Grazie per aver chiesto dell'Acme Rocket Quartet! E' stato un progetto un po' di reazione rispetto ai Thin White Rope. Vendetti tutte le mie chitarre solid body e comprai una vecchia hollow body. Ero determinato a fare qualcosa in uno stile diverso e, cosa più importante, a scrivere da me la maggior parte del materiale. Decisi anche di registrare tutto da solo. Sentivo di essere all'ombra di Guy Kyser e volevo assicurarmi di esplorare la mia creatività senza restrizioni.
Con gli Acme Rocket Quartet ci siamo divertiti moltissimo, registrando in maniera creativa e suonando nel nord della California. Non ci siamo impegnati granché per ottenere un contratto o fare un tour, quindi siamo rimasti nell'ombra, ma non ho rimpianti a riguardo. I tre album che abbiamo realizzato sono su Bandcamp e prima o poi cercherò di promuoverli di più. Come ho già detto, Guy e io formammo una band bluegrass, suonammo alcuni concerti e registrammo un demo. Alcune tracce sono caricate sul mio Soundcloud. Lui suonava il banjo e io il mandolino. La cosa finì quando il chitarrista si trasferì nello stato di New York. Ho alcuni progetti in corso. Per esempio, un album che ho registrato di recente con Stoo Odom. Stiamo pianificando la stampa del vinile, che uscirà entro l'autunno. Magari dopo faremo un tour in Europa. Sto anche iniziando a fare alcuni concerti di chitarra solista e penso presto ne farò molti di più. Qui puoi trovare le mie cose.

Mi piacciono molto gli album degli Acme Rocket Quartet, in special modo il primo. Mi piacciono anche le tue cose per sola chitarra, soprattutto il disco “Guitar Solo”. Mi sembra di sentire echi di Sandy Bull e Leo Kottke...
Sono sempre stato un artista di strumenti e di suono, piuttosto che di testi e di canzoni. Immagino sia ovvio. Le mie influenze principali sono Chet Atkins, Les Paul, Django Reinhardt, Wes Montgomery, Marc Ribot e Bill Frisell. Esibirmi in solo con la chitarra è sempre stata una mia ambizione, ma per lo più ho evitato per mancanza di tempo, concentrazione e della necessaria sicurezza. La registrazione di “Guitar Solo” è stato il mio tentativo di affrontare questi demoni. È andata bene, ma è solo un punto di partenza. È materiale molto “composto”. Mi piacerebbe ottenere una miscela di composizione e improvvisazione, e mi piacerebbe essere in grado di esibirmi da solo e in collaborazioni improvvisate. L'anno scorso, mentre ero in visita da Stoo Odom a New Orleans, ho suonato in un concerto basato sull'improvvisazione con il grande percussionista Tatsuya Nakatani ed è stato molto stimolante. Sacramento ha una scena impro/free jazz/outsider music molto attiva, frequentata da alcuni musicisti meravigliosi. A tal proposito dai un ascolto ai Cloud Seeder, gruppo composto da Steve Edberg, Dave Thompson e da me, in pratica tutti i componenti degli Acme Rocket Quartet. Qui improvvisiamo utilizzando sound toys e strumenti normali.

Per finire, so che una reunion dei Thin White Rope è quasi impossibile ma... Puoi dirci se esiste del materiale ancora inedito?
Non mi viene in mente materiale inedito dei Thin White Rope, oltre ai primi demo e ai bootleg dei concerti dal vivo. Ho messo il nostro primo demo, registrato da Scott Miller, sul mio SoundCloud. Include una canzone chiamata "Macy's Window". Penso di avere copie di altri nostri demo, cercherò di procurarmeli presto.

Discografia

Exploring The Axis (Zippo-Demon/Frontier, 1985) 7
Moonhead (Demon/Frontier, 1987) 7
Bottom Feeders (Ep, Frontier, 1987) 6,5
(Captain Long Brown Finger) In The Spanish Cave (Demon/Frontier, 1988) 7,5
Red Sun (Ep, Demon, 1988) 6,5
Sack Full Of Silver (Frontier/Bmg, 1990) 8
Squatter's Rights (Ep, Frontier, 1991) 6
The Ruby Sea (Frontier/Bmg, 1991) 6
The One That Got Away (live, Frontier, 1993) 8
Spoor (antologia, Frontier, 1994)
When Worlds Collide (antologia, Birdcage, 1994)
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