Tunng

Coloratissimi patchwork a base folk

Tra i più vivaci rivitalizzatori e manipolatori di folk, elettronica e stramberie varie, i Tunng rappresentano un’esperienza di collettivo musicale aperto difficilmente riscontrabile in questi anni. Dall’originario duo alla band aperta, dalle registrazioni nel sottoscala ai primi approcci live, fino alle recenti, molteplici collaborazioni, Mike Lindsay e Sam Genders ci raccontano il percorso che li ha condotti a una ormai consolidata credibilità artistica. E lo fanno in maniera divertita, senza prendersi troppo sul serio, con lo stesso spirito con cui interpretano il loro modo di fare musica…

La vostra musica spazia dall’elettronica al folk, c’è una ragione precisa per cui avete scelto di lavorare in quest’ambito, o ci siete arrivati spontaneamente?
Mike - Credo che inizialmente sia stata una cosa molto naturale, la prima volta che ci siamo incontrati entrambi eravamo impegnati in una sorta di lavoro di scrittura abbastanza tradizionale e di produzione in studio di diverse cose.
Semplicemente eravamo interessati alle stesse cose e in quel momento probabilmente le abbiamo elaborate insieme. È stato molto naturale.

In tutti i vostri album ci sono diversi stili e diverse influenze, ma nel complesso il vostro suono risulta omogeneo. Pensate che sia grazie all’approccio con cui scrivete musica o è qualcosa che avete elaborato in studio?
Mike - Non…sono completamente sicuro di aver capito la domanda ma io… tu cosa ne pensi?
Sam - Io, Mike, così come le altre persone del gruppo… tutti amiamo della musica che ha un sacco di influenze. Influenze anche inusuali, che una accanto all’altra possono originare cose che non ci si aspetta.
Penso che il motivo per cui tutti questi suoni diventano una cosa sola sia molto dovuto al lavoro di produzione di Mike.

Quindi creare un suono più omogeneo è uno dei vostri obiettivi in fase di produzione?
M. - Semplicemente mi piace creare una canzone che abbia molto carattere in sé, non necessariamente melodica, ma che abbia personalità anche nel suono, nell’atmosfera che crea. Tu cosa intendi per omogeneo?
S. - Beh, come Tunng suppongo che abbiamo il diritto di produrre la musica che ogni volta ci sentiamo di fare e quindi di creare album che racchiudano diversi feeling.
Ma sono felice perché credo che “Good Arrows” suoni davvero come un album dei Tunng e che siamo riusciti a creare un suono decisamente nostro, che per la gente potrebbe diventare riconoscibile come “qualcosa alla Tunng”. 

Qual è il vostro approccio alla scrittura della musica e delle canzoni? Iniziate con una canzone folk alla chitarra e poi ci lavorate sopra o il contrario, iniziate con un’idea e poi la sviluppate?
S. - È tutto questo, il gruppo lavora in studio in entrambi i modi. Può succedere che Mike abbia una traccia quasi completamente finita e ci metta dentro le voci, oppure io potrei avere una canzone o qualcun’altro potrebbe associarvi una base.

Dipende forse da chi scrive le canzoni per primo?
M. - Si, a volte qualcuno di noi è arrivato in studio con una bella canzone o una parte su chitarra e noi tutti abbiamo cercato di dare una direzione, qualcosa del genere, e allo stesso modo gli altri del gruppo potrebbero arrivare in studio o venire da me e proporre idee, succede così.

Nella scena musicale folk spesso gli artisti cercano di evitare gli stili classici e di sperimentare cose nuove e certe volte tutto appare molto forzato. Nel vostro caso, anche se non fate nulla di classico, tutto appare molto naturale e spontaneo. Vi piace scrivere qualcosa e poi lasciare che il suono si sviluppi da sé?
S. (si rivolge a Mike) - Penso che la tua tecnica nello scrivere sia più di una semplice tecnica di scrittura. Ma poiché viviamo in un’epoca diversa da quella della classica musica folk, penso che sia bello giocare con le idee e creare qualcosa che funzioni anche in altre direzioni, ma senza forzature; personalmente non voglio che ogni suono sia costretto o non spontaneo solo per il gusto di completarlo con un po’ di rumori, perché questo lo svuoterebbe del suo significato.
M. - Penso che la buona musica, sia classica o pop o folk, sia sempre una sorta di fusione di certe idee tradizionali già sentite prima, che suonano familiari. E tutti, di solito, siamo attirati da ciò che è familiare; poi si cerca di riproporre queste cose in modo diverso. Ed è cosi in tante cose, ci sono persone che vivono in modo tradizionale e guardano qualcuno che usa il computer dicendo “che roba è?”, quando in realtà è così semplice!
Per quanto mi riguarda, se trovo qualcosa di interessante non importa che il suono arrivi da un computer o da una voce; credo che sotto vari aspetti la buona musica, classica o tradizionale, sia buona quanto la musica contemporanea, c’è sempre una sorta di fusione di influenze, la differenza è solo nel modo in cui tutto questo viene messo insieme.

Le vostre canzoni sono quasi sempre ironiche, anche quando parlano di argomenti seri. È chiaro che prendete la musica seriamente, ma vi piace l’idea di non prendervi troppo sul serio?
M. - Si…non lo so! (ridono) Non saprei, ho dei dubbi, non lo so se mi prendo sul serio o no..

Dal vostro primo album a quest’ultimo pensate di essere sempre più attratti dal fare musica melodica? In “Good Arrows” ci sono canzoni come “Bricks” e “Bullets” che potrebbero essere perfette summer songs ideali per essere passate alla radio. È dovuto a una crescita nella vostra attitudine e sensibilità melodica o si tratta di un’evoluzione della vostra creatività e capacità di scrittura, per cui vi risulta più facile scrivere canzoni melodiche?
S. - È più una rappresentazione di come noi, insieme, stiamo diventando più di semplicemente “sei persone che suonano insieme”. “Good Arrows” è venuto fuori durante il nostro ultimo tour europeo, ci stavamo divertendo molto, creavamo cose insieme; melodicamente ci sono un sacco di voci e più parti cantate che hanno un colore pop, il suono non è tanto oscuro quanto nel primo album: forse in quel periodo stavamo sorridendo di più!
M. - Si, ma questo è solo un elemento, quando si fa un nuovo album si cerca di creare qualcosa di diverso dall’album precedente. A noi tutti piace qualcosa di oscuro così come qualcosa di melodico ed è bello usare questi spunti in modi diversi, in album diversi, è interessante.

Pensate che la definizione di folk-tronica si attagli alla vostra musica? E vi piace questo tipo di musica o non vi interessa affatto?
M. - Penso che ora sia una parola molto vecchia e credo che nel momento in cui venne coniata descrivesse una scena che, in un certo senso, i media fecero in modo che si realizzasse. In realtà noi ne siamo rimasti abbastanza fuori. Si, comunque credo che descriva abbastanza bene il folk con l’elettronica.

Tra i riferimenti citati a proposto dei vostri dischi si legge spesso il nome dei Books. Noi non siamo particolarmente d’accordo: non vi sentite invece più vicini, per esempio a Remote Viewer e alle produzioni Moteer?
M. - Abbiamo suonato insieme ai Books, mi piacciono e li rispetto moltissimo. In generale c’è un sacco di musica elettronica che ci dà ispirazione, da Modeselektor a molte produzioni minimal-techno.
Ma io amo i Books, davvero. In “Comments Of The Inner Chorus” c’è un brano (“Wind Up Bird” n.d.r.), che dice “i libri fanno schifo e non hanno nulla da dire”, pensavo che la domanda sarebbe stata su questo.

Un vostro pezzo è compreso nella mini-raccolta “It Happened On A Day”, nella quale siete accanto a band interessanti come Shady Bard, Woodcraft Folk e Laughing Window. Partecipare a questo disco è stata una bella esperienza o vi hanno solo chiamato per chiedervi la canzone? E si è davvero svolto tutto in un solo giorno?
M. - No, in realtà è successo il contrario. Ci abbiamo messo così tanto a dare il nostro contributo che l’intera traccia, in realtà, è una sorta di richiesta di scuse, tipo “siamo davvero dispiaciuti per aver impiegato tanto tempo a consegnarvi la canzone”. Parla proprio di questo, è una canzone strana perché è stata scritta mentre pensavamo alla canzone per questo album! A me piace moltissimo.

Avete cominciato in due e ora siete più un gruppo, una sorta di collettivo. Ritenete che questo incrementerà il vostro potenziale nello scrivere musica?
S. - Sicuramente. È un po’ che siamo insieme ormai, io, Mike, Ashley e Becky. Siamo insieme da tre anni, per cui siamo davvero un gruppo. Come live band, accogliamo i contributi di tutti, e ognuno contribuisce con un sacco di idee. Non a caso il primo album è stato scritto solo da noi due, il secondo quasi tutto da noi, mentre “Good Arrows” è opera di tutto il gruppo, come dimostra il fatto che i credits siano diversi.

Curate voi stessi la produzione e non avete mai lavorato con un produttore esterno. Pensate di poterlo fare in futuro?
M. - È difficile. Mi piacerebbe un giorno fare un album con un altro produttore. Ma sono abituato a scrivere musica proprio mentre sono in studio, traccia dopo traccia, lavorando su suoni e parole, mettendo le cose insieme. Se dovessi fare un album in un altro studio tutte le canzoni dovrebbero essere già scritte, le tracce elaborate e qualcun’altro dovrebbe definire il suono. No, probabilmente per molto tempo non lo farò, anche se l’idea mi piace.

Il vostro primo album è uscito per la Static Caravan, un’etichetta molto piccola. Ora siete con la più importante Full Time Hobby: c’è differenza nel lavoro che avete fatto con le due etichette e perché avete scelto di cambiare?
M. - Si, c’è una differenza, anche se abbiamo grande stima di entrambe le etichette. Abbiamo scelto di cambiare perché la Full Time Hobby poteva offrirci un maggiore supporto finanziario per sviluppare ulteriormente il nostro progetto. La Static Caravan ha una dimensione personale e familiare, ma non ha grandi disponibilità finanziare. Siamo buoni amici con il suo manager, Jeff, tanto che è persino venuto con noi ad incontrare le altre etichette ed assicurarsi che facessimo la scelta giusta.

Nel vostro primo album con la Full Time Hobby, in effetti, c’è anche il logo della Static Caravan. Si è trattato di un disco co-prodotto, oppure era un semplice omaggio alle vostre “radici”?
M. - Effettivamente Jeff non ha contribuito finanziariamente all’album ma l’abbiamo fatto perché, in ogni caso, meritava un sacrosanto riconoscimento, con noi ha fatto un ottimo lavoro. E comunque la Full Time Hobby è ancora un’etichetta indipendente, non è per niente una major.

Tutti nel gruppo sono coinvolti in altri progetti, questo fa sì che le vostre influenze si allarghino, che la vostra musica si sviluppi in altre direzioni. So che lavorate con The Memory Band e producete Serafina Steer. Anche gli altri componenti del gruppo fanno altro. Pensate sia un bene per loro avere altri progetti?
M. - È un bene in generale che le persone abbiano diversi progetti, è come se rinfrescasse la mente!
S. - Vieni ispirato in tanti modi da altre persone con idee nuove, come Mike che produce Serafina Steer e ha fatto vari concerti con lei in Francia. È positivo, è fonte di idee nuove, mentre io da poco faccio parte di un nuovo progetto, The Accidental, che raccoglie artisti provenienti da varie altre band.
M. - E sono davvero bravi.

Perchè all’inizio della vostra carriera non suonavate dal vivo?
M. - Non è stata una scelta voluta: era solo che all’inizio passavamo un sacco di tempo in studio e pensavamo di poter fare qualcosa alla radio. Allora l’idea era di trovare un lavoro che ci desse tempo sufficiente per farlo, ma in qualità di hobby personale o poco più. Una band vera e propria invece richiede un impegno a tempo pieno e quando i Tunng hanno cominciato ad assumere questo aspetto abbiamo anche iniziato a suonare dal vivo.

Forse questa domanda vi è stata già fatta troppe volte, ma noi non conosciamo la risposta: cosa c’è dietro la scelta del nome Tunng, cosa significa?
M. - Non significa assolutamente nulla.

Eravamo certi che sarebbe stata questa la risposta…
S. - Non ha significato e l’abbiamo scelto per questo. Suona bene, è bello e penso che rappresenti qualcosa che stavamo facendo in quel momento, (si rivolge a Mike) non sono neanche sicuro che ci piacesse allora.
M.- Si, a me piace! È una di quelle parole che si prestano ad un sacco di interpretazioni, in tanti arrivano con delle supposizioni su cosa possa significare, ma vedi, “tunng” (batte una volta le mani, n.d.r.), è una sorta di suono onomatopeico.

Tutti i vostri dischi hanno dei colori bellissimi. La grafica è scelta da voi o viene suggerita da qualcun’ altro, dall’etichetta?
M. - No, sono tutte fatte dalla stessa persona, da una ragazza.

Davvero? Sembrano molto diverse tra loro.
M. - No, lei ha illustrato i nostri singoli e tutto ciò che abbiamo fatto finora.

È stata una scelta consapevole scegliere qualcosa di più vivido e pieno di colori per “Good Arrows”, il vostro album più melodico?
M. - Credo di si, vero?
S. - Si, abbiamo pensato che questo album avesse un impatto più forte, più diretto, così la copertina è una specie di accozzaglia di oggetti colorati ed è in linea con i titoli delle canzoni, molti dei quali richiamano oggetti quotidiani.

Ci sono molti remix nei vostri album e singoli e avete fatto anche la cover di un pezzo dei Bloc Party. Sembra poi che vi piaccia che le vostre canzoni vengano remixate, da voi stessi o da altri.
M. - Si mi piace remixare le cose di altri, lavori su cose con cui in realtà non hai nulla a che fare e poi le restituisci, sperando di aver avuto rispetto della traccia fatta da altri…È bello perché, a tua volta, puoi trarre delle idee per qualcosa che vuoi fare da solo. Mi piace anche quando gli altri remixano le nostre cose, il risultato può essere una traccia a cui tu non avresti mai pensato, la creazione di nuove possibilità all’interno della musica stessa.

L’ultima domanda è sempre la stessa. Progetti per il futuro, state scrivendo qualcosa di nuovo?
M. - Molto, molto lentamente, forse qualcosa per il prossimo anno, ma non sappiamo cosa, come e quando.

Sarà nelle stesse corde del materiale che avete registrato o ancora non lo sapete?
M. -
(canticchia, fa il vago)

Ok, non volete dircelo.
M. - Sai, non siamo ancora sicuri, ma ci sarà certamente dell’heavy metal! (ridono)

Ci auguriamo stiate scherzando!

Traduzione a cura di Enrica Chimienti