In occasione della pubblicazione del quarto album delle Warpaint raggiungiamo via Zoom Stella Mozgawa. La talentuosa batterista ci parla del processo di scrittura e di registrazione di "Radiate Like This", ma anche di altre sue collaborazioni, da Cate Le Bon a Courtney Barnett. Arrivata in ritardo all'incontro virtuale per colpa di una precedente intervista protrattasi oltre i tempi prestabiliti, la musicista si scusa gentilmente più volte e si rivela essere davvero una simpatica interlocutrice durante la nostra chiacchierata a tema musicale, che riportiamo qui sotto integralmente.
Cosa c’è di completamente nuovo per le Warpaint in “Radiate Like This”?
Completamente nuovo è il fatto che la seconda parte del processo di registrazione è avvenuta in remoto. La maggior parte degli strumenti erano stati registrati mentre suonavamo ancora in presenza, ma poi gran parte delle voci e un paio di sovraincisioni sono state fatte in ambienti molti intimi. Penso che si senta quando si ascoltano attentamente le performance vocali: c’è molta più ricchezza e si scorge la grande quantità di tempo impiegata per registrarle. Penso che questa cosa contribuisca in modo positivo alla riuscita finale del disco.
Prendiamo per esempio la prima traccia del disco, “Champion”. Troviamo il vostro lato più pop e melodico, ma traslato in una dimensione e in un’atmosfera nuove. Sicuramente meno oscure, con questo beat che, come un respiro rilassato, s’immerge in uno spazio sconfinato. Come è nata questa canzone e qual è il suo significato?
Theresa aveva un demo della canzone e lo portò durante una delle nostre prime session di registrazione, quando stavamo ancora scrivendo e registrando delle idee nel mio studio a Joshua Tree. Abbiamo iniziato a lavorarci. Si fece molto già in quella sessione iniziale con tutte noi. Eravamo entusiaste di sentire il demo e ci sono venute subito delle idee che abbiamo sviluppato e registrato e poi abbiamo continuato a lavorarci. Riguardo al significato del pezzo, non posso esprimermi sul punto di vista di Theresa. Ma penso che abbia davvero un’energia calda e un messaggio positivo. Parla di avere fiducia in se stessi e comprendere come è meraviglioso e fragile esistere come esseri umani.
Credo che la copertina del disco trasmetta bene proprio questo messaggio luminoso e positivo. L'avete scelta per questo motivo?
Penso fossimo affascinate da quanto fosse bella come immagine e opera d’arte in sé. Ci sembrava proprio qualcosa che si vuole ammirare: ha questa essenza naturale e rilassante dentro di sé. Ha reso d’accordo tutte noi quando si è dovuto scegliere l’artwork per la copertina. Ci è sembrata immediatamente quella “giusta”.
Adoro la canzone “Melting” e il suo arrangiamento!
Fantastico!
Me ne puoi parlare un po’?
Quella canzone ci ha messo un po’ per approdare al suo arrangiamento finale. Abbiamo provato differenti approcci. Abbiamo fatto una session iniziale a Los Angeles con John Congleton e abbiamo poi continuato a costruire intorno a quell’idea. C’erano opinioni divergenti su quanto il pezzo dovesse essere dark oppure luminoso, ma penso che il risultato finale sia una bella miscela di questi due spettri. È un po’ dolceamara, ma contiene un messaggio positivo.
Avete estratto il titolo del disco proprio da un verso di questo brano. Perché “radiate like this”?
Di nuovo, come per la copertina, ci è sembrato “giusto”. Penso sia bello quando un disco prenda il nome da un verso di una canzone contenutavi. Dà a quella canzone o a quel momento in particolare questo potere che altrimenti non avrebbe e chi ascolta può concentrarsi per l’intera esperienza su questo messaggio o questa intenzione della band. Quel verso poi ci sembrava positivo, diretto all’esterno ed estroverso. Ci sembrava che potesse racchiudere in sé tutto quello che speriamo l’album possa avere successo nel comunicare al mondo.
Penso proprio che lo avrà questo successo. Mi piacciono i vostri vecchi dischi, ma questo credo possa diventare il mio preferito nella vostra discografia. E penso che l’accoglienza sarà in generale molto positiva!
Oh, grazie mille, fantastico! È davvero bello da sentire!
“Proof” è un’altra canzone molto potente e il tuo drumming qui è perfetto come al solito. È impossibile trattenersi dal muoversi, dal ballare o dal fare headbanging! Cosa ha ispirato questo brano e come lo hai approcciato da batterista?
Grazie! Questa è sicuramente una delle mie canzoni preferite e sono felice che l’hai menzionata. Abbiamo uno spazio di prova che talvolta usiamo anche per le registrazioni e lì infatti abbiamo anche registrato il nostro album precedente. Stavamo facendo tanti demo live delle tracce per il disco in quello spazio. Avevamo una versione di “Proof” della quale eravamo tutte soddisfatte, ma le linee di basso non erano ancora definitive e la parte di batteria non era così potente nella versione iniziale. Sam [Petts-Davies], il nostro produttore, mi ha spinta verso una performance più audace, con molti più fills e cose simili e la canzone è diventata sempre più imponente, molto più forte e ricca di sfumature durante questo processo. Ci abbiamo messo un bel po’ di tempo per quella canzone, ma è stata divertente da scrivere e registrare.
Ho letto che il vostro disco precedente, “Heads Up”, era stato composto e registrato molto velocemente, mentre “Radiate Like This” vi ha richiesto più tempo. Pensi ci siano delle differenze sostanziali nella vostra musica dovute a questo approccio differente durante la fase di scrittura e registrazione?
La maggior parte della scrittura come band era stata compiuta prima della pandemia. Molte delle performance vocali, invece, sono state fatte in isolamento. In generale, quando hai una deadline e vuoi stare in quei tempi, non c’è nulla come una pandemia che ti costringa necessariamente a rallentare. Ma questo ci ha permesso di avere del tempo in più per lavorare ai dettagli finali e più sottili e abbiamo iniziato ad aggiungerli ai pezzi per raggiungere questa idea ricca e ambiziosa che avevamo del suono che avrebbe dovuto avere il disco. È stato proprio il contrario di fare tutto nel modo più semplice e meno dispendioso. Cosa che però ovviamente molti devono fare perché non possono permettersi di pagare a lungo per uno studio costoso o per il tempo di qualcun altro. In quel caso è molto più difficile andare a fondo con questi dettagli, a meno che non lo si faccia da soli. Per il futuro siamo fortunate, visto che abbiamo ora questa tecnica. Specialmente Theresa ed Emily sono migliorate molto nel registrare le loro voci e nel farlo nel modo in cui si trovano più a loro agio. Penso che permetta alla musica di sviluppare tutto un altro livello di interesse proprio per quel tempo extra impiegatovi.
Abbiamo parlato di questo messaggio positivo e di questa atmosfera più luminosa che si respira nel disco, ma esiste una vostra canzone recente piuttosto dark, “Lilys”. Come è nato questo pezzo e come mai avete deciso di non inserirlo in “Radiate Like This”?
C’è stata una lunga conversazione riguardo alla presenza o meno del pezzo nel disco e avevamo diverse opinioni. Ma alla fine dover far spazio per qualcosa che il pubblico non aveva ancora sentito ha avuto la precedenza nella decisione. Avevamo una versione dell’album con “Lilys”, ma non scorreva mai così bene come lo faceva senza. Abbiamo provato diverse tracklist ma sembrava sempre che distorcesse il disegno generale del disco o che fosse sempre un po’ fuori posto. Ciononostante amiamo quella canzone! È un pezzo che io e Teresa abbiamo schizzato insieme. Erano inizialmente dei loop che avevo creato mentre lei suonava il suo sintetizzatore e si arrangiavano in una specie di paesaggio musicale. Poi abbiamo registrato alcune parti di batteria e ho inserito il tutto in una cartella che avremmo dovuto inviare a Sam prima che partisse per gli Usa. Era sul desktop ed era solo un’idea germinale che non credo avessimo ancora fatto sentire a Emily e Jen a quel punto. A Sam piacque ed era davvero entusiasta di continuare a lavorarci e finire il pezzo. Sono contenta che lo abbiamo fatto!
Sì, è davvero un bel pezzo, ma sono d’accordo con te: non si amalgama bene al resto del disco.
No, infatti, era difficile trovargli un posto.
Avete iniziato il tour europeo ieri, vero? Come è stato suonare le nuove canzoni dal vivo?
È davvero impegnativo, ma anche divertente. Stiamo per il momento solo facendo dei concerti in-store e un po’ di promozione. Il tour ufficiale parte la settimana prossima. Adesso, stiamo suonando concerti un po’ più corti, ma è comunque un ottimo esercizio di riscaldamento per gli show più grandi. Stiamo ancora cercando di trovare il modo migliore per riprodurre dal vivo le nuove canzoni e inserirle nella scaletta. È entusiasmante!
Ora ho un paio di domande per te, Stella. Sei una collaboratrice di lunga data di Cate Le Bon: come è stato lavorare con lei al suo nuovo splendido disco “Pompeii”? È stato durante il lockdown, vero?
Ho finito per suonare un sacco di parti di batteria da uno studio a Sidney, nel quale stavo registrando il lavoro di Courtney Barnett. In mezzo a due pezzi delle sessioni di registrazione ho avuto circa cinque o sei giorni liberi e gli ingegneri del suono sono stati così gentili da lasciarmi entrare molto presto alla mattina. Mi svegliavo tipo alle 5 e arrivavo nello studio per le 6.30 e, a quel punto, in Galles erano le 21 o le 22. Samur e Cate aprivano bottiglie di vino, mentre io stavo ancora bevendo il mio caffè! Siccome siamo abituate a lavorare insieme nello studio e siamo buone amiche, sia io che Cate eravamo un po’ nervose riguardo alla modalità di comunicazione attraverso gli schermi dei laptop. Mi sento così safe in studio con Cate e lei è davvero brava a farmi sapere cosa vuole esattamente e io sono, spero, brava a interpretarlo. Arriviamo dove dobbiamo molto in fretta. Fortunatamente, abbiamo costruito questo meraviglioso ambiente di lavoro ed è molto facile fare le cose che dobbiamo fare. Alla fine, anche se su Google Meet, è stato divertente trascorrere del tempo con lei alla mattina.
E l’album è talmente bello! Lo ho adorato.
Sì, lei è davvero la migliore! Al di là del fatto che siamo amiche e che ho lavorato ad alcuni dei suoi ultimi album, sono tuttora una grande fan di quello che fa e, ogni volta che sento un suo disco finito, mi sento davvero fortunata di essere una parte di esso, perché lei è davvero speciale.
Hai appena annunciato un album di debutto omonimo con il tuo altro progetto Belief. Cosa possiamo aspettarci da questo disco?
Belief è un progetto di musica elettronica con me e Bryan Hollon, che lavora sotto il nome d’arte di Boom Bip. Il disco è nello spirito delle prime produzioni della Warp. Siamo influenzati da LFO, Aphex Twin e possiamo dire che la musica di quel circolo è di grande ispirazione per i pezzi che abbiamo scritto. Con Bryan avevamo pubblicato un paio di singoli ed eravamo sempre entusiasti riguardo a cosa avremmo fatto dopo. Sì, direi che è un progetto davvero entusiasmante.
È stato un piacere parlare con te. Grazie per il tuo tempo e buona fortuna con il tour e la pubblicazione di “Radiate Like This”! Spero di vederti suonare prima o poi in Italia o in Svizzera!
Grazie mille! Non sono sicura che suoneremo in Italia per questo tour con le Warpaint, ma scenderò sicuramente con Courtney Barnett a giugno. Quindi, sì, sarò da qualche parte in Italia nei prossimi due mesi.
(Maggio 2022)
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L'unione del cuore e della mente di Giulia Polvara, Luca Pasi e Stefano Macchi Questa non è decisamente la prima volta che si sente parlare delle Warpaint. Questo quartetto tutto al femminile ha alle proprie spalle un Ep del 2008, Exquisite Corpse, mixato da nientemeno che John Frusciante e un album di debutto del 2010, "The Fool", che ha conquistato la critica internazionale guadagnando loro il titolo di legittime eredi di Siouxsie And The Banshees. Ora, a pochissime settimane dalla pubblicazione di "Warpaint", loro secondo Lp, abbiamo fatto una chiacchierata con Stella Mozgawa, batterista australiana unitasi al gruppo nel 2009. Abbiamo parlato del grande produttore Flood, di quanto sia importante il connubio mente-cuore nel fare musica, e in qualche modo è saltato fuori persino Tom Jones. Il tutto è stato regolarmente ritmato dalle strilla del mio pappagallo in sottofondo. Iniziamo con le domande. Dove avete registrato il nuovo album? Che approccio avete usato rispetto al disco precedente, “The Fool”? L’abbiamo registrato soprattutto a LA con Flood, specialmente all’inizio di tutto il processo d’incisione. Abbiamo anche affittato una casa a Joshua Tree per un mese, nel marzo del 2012. Ecco, quel mese, e tutto ciò che è successo in quel periodo, è stata la genesi di buona parte del disco. C’è una canzone in particolare che è stata registrata interamente a Joshua Tree, oltre a un sacco di demo che abbiamo comunque usato; pezzi come “Feeling Alright” sono stati incisi da me e Theresa in uno spazio di registrazione in centro LA. Poi quando è arrivato Flood abbiamo ri-registrato alcune delle canzoni. A proposito di Flood, com’è stato lavorare con lui? Ha lavorato con musicisti di un certo calibro, tra cui PJ Harvey, New Order, Nine Inch Nails. Che tipo d’impatto ha avuto sulla vostra musica? La cosa interessante di lui è che non ha un suo stile personale specifico. Non che non l’abbia mai trovato. Dal punto di vista tecnico ci sono cose che fa da anni. Ma se ascolti un disco come l’ultimo di PJ Harvey, “Let England Shake”, ecco, mi ricordo che la prima volta che l’ho sentito non avevo idea che l’avesse prodotto lui, perché non aveva prodotto i suoi dischi immediatamente precedenti. Perciò mi sono chiesta se l’avesse fatto lei, o magari John Parish. Mi è sempre sembrato che quando mi piaceva veramente il suono di qualcosa o l’approccio a quel determinato sound ci fosse sempre dietro lui. Quando un disco in un certo senso sembrava non essere stato nemmeno “prodotto”. Quando dava la sensazione di qualcosa di completamente naturale. E ha la capacità di dare alla tua musica esattamente il suono che vorresti che avesse, non solo con i demo, fa lo stesso con moltissime cose di hi-fi. È una qualità veramente notevole, specialmente per qualcuno con così tanta esperienza, che lavora con gruppi che non siano i Depeche Mode o gli U2, quella di fidarsi di ciò che la band vuole. È molto umile ed è un grande lavoratore, con un’enorme integrità. Ci tiene veramente a produrre il miglior album possibile, rispettando alle caratteristiche degli artisti, piuttosto che dirti: “Oh, dobbiamo fare questo perché è ciò che ho fatto con gli U2” o addirittura, “dobbiamo renderlo in questo modo perché è ciò che ultimamente piace molto a Pitchfork”. Non gliene frega niente di tutto questo. Vuole semplicemente assicurarsi che venga fuori un album che sia un buon lavoro, dall’inizio alla fine. È l’unica cosa che ci ha mai detto e di cui gli è mai importato. Sì, ho letto che Billy Corgan ha detto qualcosa di molto simile su di lui. Che ascolta veramente gli artisti e si mantiene coerente al loro stile. Già, esattamente, ed è per questo che secondo me ha così tanto successo. Ci sono ben pochi produttori in circolazione che sono in grado di lavorare in questo modo, sai. E in questo modo avete potuto mantenere il vostro sound. Esattamente. L’unico altro produttore che mi viene in mente, con cui ho lavorato in un’altra occasione e che ha questo tipo di approccio è Ethan Jones. Secondo me, sono tra i produttori migliori, i più integri e onesti al mondo. A cosa hai lavorato con Ethan Jones? Uhm, ho suonato le batterie per un disco di Tom Jones. È stato piuttosto fantastico... Ah, sì? Quando è stato? Il disco è uscito l’anno scorso, ma è stato inciso più o meno nell’ottobre del 2011. È stata un’esperienza incredibile, Ethan è un produttore meraviglioso. È molto raro, comunque, trovare persone che riescano quasi ad essere una mosca sulla parete e rispettino del tutto le dinamiche in corso, piuttosto che dire, “beh, io ne so di più, e dico che dovreste fare così.” Non c’è mai stato quel tipo di energia, è un po’ come invitare un altro musicista nel tuo mondo. ...Una persona che ti rispetti. Sì, che ti rispetti e che tu per primo rispetti, e se quel tipo di relazione è funziona in maniera efficiente, allora porta ai migliori risultati, almeno secondo me. Pensate quindi di continuare a lavorare con Flood in futuro? Si vedrà. Il fatto è questo: è stato una sorta di evento cosmico, in cui entrambe le parti volevano lavorare l’una con l’altra nello stesso momento, e lui è abbastanza particolare nella scelta degli artisti con cui lavora. Non lavorerebbe con un gruppo se credesse di non poter combinare nulla con loro, o per loro, o se non lo emozionasse l’idea di lavorare con loro. Perciò non possiamo fare altro che aspettare e vedere cosa succederà. È difficile da dire a questo punto, siamo talmente immerse nel mondo di quest’ultimo disco. Giusto, ovviamente non pensate ancora al prossimo album… Sì, beh, non ancora. Non vedevamo l’ora che uscisse “Warpaint” e vogliamo vivere nel suo mondo per un poco. Ma Flood è molto contento della ricezione che ha avuto, e anche noi lo siamo. Allora parliamo un po’ di questo disco. Che approccio avete avuto nella scelta dei testi? Com’è il vostro processo di composizione? Uhm, per quanto riguarda i testi, sono Emily e Theresa a scrivere, perciò non posso dire con esattezza quale sia la loro routine quando si tratta di far musica, ma generalmente, semplicemente lavorando con loro, ho visto in che modo progrediscono le cose. In maniera abbastanza naturale. Non è tanto un “oh, ecco una poesia che ho scritto. E voi avete scritto della musica, vediamo come possiamo metterle insieme.” È più un qualcosa di sillabico, quasi una trama di suoni che emergono spontaneamente in un determinato momento. Vi concentrate più sui suoni piuttosto che sui testi? No, penso che inizi con i suoni e si manifesti poi in qualcosa di significativo, in qualche modo. Se ha senso quello che dico. Inizia con una sorta di trama organica, in qualche modo, che poi viene riassemblata in modo che assuma un senso, cercando di capire perché determinati suoni o parole siano saltati fuori in primo luogo, o perché le nostre lingue abbiano deciso di articolare un determinato tipo di parole. È un po’ come parlare in un linguaggio tutto nostro. Comunque sappiamo sempre che c’è qualcosa di significativo nascosto dietro a tutto ciò. Perciò sviluppate testi e suoni contemporaneamente, in una sorta di nucleo indefinito, ho capito bene? Già, esattamente. Voglio dire, non facciamo sempre necessariamente così. Ma quello che hai detto è molto percettivo. È ciò che tendenzialmente succede, esatto. Che tipo di sound ha il nuovo disco rispetto a “The Fool”? È cambiato molto? Si ha la sensazione che lo spettro sonoro sia mutato in maniera piuttosto consistente. Puoi dirmi qualcosa al riguardo? È una direzione consapevole quella che avete intrapreso? Uhm, non proprio consapevole, penso che sia partito tutto nel periodo passato a Joshua Tree, durante il quale abbiamo avuto la possibilità di fare qualsiasi cosa volessimo fare, indipendentemente da tutto. Abbiamo semplicemente pensato alle cose che ci interessavano in quel momento, le idee che avevamo da un po’ o che ci erano venute in quel periodo. Abbiamo esplorato cose nuove, perché abbiamo avuto il tempo e la possibilità di effettivamente sederci e sperimentare l’una con l’altra, cosa che non avevamo mai potuto fare prima di allora. Io sono entrata nel gruppo poche settimane prima di registrare “The Fool”. Non avevamo mai avuto il tempo di fermarci un attimo per metterci a scrivere musica insieme. Perciò è stata una nuova esperienza per noi quattro ed è stato molto emozionante, più di ogni altra cosa. Non credo che ci siamo imposte un qualsiasi tipo di inibizione con questo nuovo disco. Mi spiego, non ci siamo messe in testa di provare qualcosa di più elettronico o cose simili. So che potrà sembrare strano, ma non abbiamo mai questo tipo di conversazioni in quanto gruppo. Nel senso, chissenefrega, semplicemente facciamo musica che sembra bella a noi e che ci emozioni nel momento in cui la dobbiamo suonare, perché sappiamo di fatto che quando ti esibisci e suoni quelle canzoni, se non le senti tue nemmeno il pubblico le sentirà, e alla fine di tutto sarai fottutamente infelice. Perché dovrai suonare quelle canzoni che non ti sono mai piaciute per i seguenti due anni della tua vita e dovrai dare l’impressione di crederci. Dunque la cosa più importante per noi è di fare musica in cui crediamo veramente. Mi sembra che tutto ciò che riguarda la vostra musica sia molto istintivo, il che credo sia una delle vostre caratteristiche migliori, in generale. Da ciò che mi hai detto finora si ha l’impressione che non sia nulla di conscio o razionalmente pensato. Vero, ottima osservazione. Parliamo molto quando si tratta di provare al momento questo o quest’altro a livello di sonorità, quello è un aspetto molto verbale. Ma non ci sediamo mai per cercare di inquadrare il tutto. Secondo me così facendo si uccide la musica, in un certo senso… Beh, sai che ti dico? Non posso giudicare, perché per certa gente quel tipo di processo funziona molto. Buon per loro. Tutti devono trovare il proprio metodo, credo sia molto importante. Ma per noi risulta semplicemente molto innaturale. Le ragazze, o Ethan, ancora anni prima che io entrassi nel gruppo, non hanno mai lavorato in quel modo. Perciò sarebbe strano iniziare proprio ora. Siamo abbastanza particolari con la nostra musica, ma quella è una cosa di cui non parliamo mai. E l’ultima canzone del disco, “Son”? Qual è la storia dietro quel pezzo? Quella è stata scritta da Theresa, si tratta di alcuni aspetti che sono entrati in gioco nel periodo in cui stavamo incidendo il disco. Parla di suo figlio e di come gestire ciò che la vita ti ha riservato. Il fatto di dover andare in tour e allo stesso tempo fare da madre... può far diventare matti. Io adoro quella canzone, credo sia una delle mie preferite. E come hai conosciuto le ragazze? Mi sono trasferita a LA per fare un disco con Flea, dei Red Hot Chili Peppers. Lui conosce le ragazze, hanno un sacco di amici in comune e ci siamo rese conto che anche noi avevamo un sacco di amici in comune. Ed è stato in quel periodo che ho deciso di non fare più la musicista da tournee. Loro stavano cercando una batterista. È stato un caso fortuito, davvero. Ottimo tempismo. Ho letto che anche Nigel Godrich, che ha anche lavorato con i Radiohead, ha mixato due tracce del disco… Com’è stato lavorare con lui? Sì, ha mixato “Feeling Alright” e “Love Is To Die”. A dire il vero eravamo solo lui il mio manager e io... Ero l’unica a Londra in quel momento. Ha fatto tutto lui, non è stato un vero e proprio evento a cui ha partecipato tutto il gruppo. Ma ci ha salvate. Avevamo mixato per tutto il mese precedente con Flood e c’erano ancora due canzoni da mixare. Abbiamo pensato fosse il momento di dare a qualcun altro la possibilità di contribuire. E non avrebbe potuto andarci meglio, sai, con Nigel Godrich e Flood. Siamo state incredibilmente fortunate. A dir la verità, non credo che ce lo meritiamo. Perché dici così? Voglio dire, ci spingerà a fare ancora meglio e ad assicurarci che ce lo meritiamo. Passeremo i prossimi due anni a suonare quest’album con un senso di umiltà e gratitudine per l’esperienza che abbiamo avuto lavorando con quelle persone. Il vostro tour non include nessuna tappa in Italia... Ah, davvero?! Arriveremo anche lì. Non posso esattamente annunciarlo per ora. Ma non è possibile che non verremo anche in Italia. Stanno solo annunciando le tappe un po’ per volta. Succederà, succederà. Pensi che il nostro paese rimanga escluso dal circuito “indie”? Non mi sembra, a dire il vero. Ogni volta che siamo state in Italia, specialmente a Milano, è stato fantastico. Abbiamo suonato a un piccolo festival [Grazie A Dio E' Lunedì, 2011, ndr] con Dinosaur Jr. e un po’ di altre band fighe, è stato circa un anno e mezzo fa. Ma abbiamo suonato anche un’altra volta prima di allora, o comunque siamo venute in Italia per questioni di stampa o cose simili. E per quanto riguarda il Primavera Sound 2014? Sarete nella line-up? ? [mi è stato chiesto espressamente di mettere un punto di domanda come risposta. Per ora Stella dice di non sapere nulla al riguardo, nemmeno le domande trabocchetto hanno funzionato, ndr]. Che tipo di musica ispira te e le altre ragazze del gruppo? Nel mio caso, basta che sia musica fatta con il cuore. Se è anche stata fatta con la testa, per forza ci sarà una componente di cuore in essa. Un disco può essere molto intellettuale, ma sensuale e significativo allo stesso tempo. Per me, personalmente, dev’essere una combinazione delle due cose. L’unione del cuore e della testa. Ma tutte siamo d’accordo su artisti quali i Talking Heads, Aphex Twin, un sacco di elettronica e cose simili. E, per finire, siete ancora in contatto con John Frusciante? [che per un periodo aveva frequentato Emily...] Non proprio, no. Ma ha giocato un ruolo importante nella nascita del gruppo, sai, ed è un amico. |
Exquisite Corpse(Ep, Manimal Vynil, 2008) | ||
The Fool (Rough Trade, 2010) | 7 | |
Warpaint (Rough Trade, 2014) | 7 | |
Heads Up (Rough Trade, 2016) | 6,5 | |
Radiate LikeThis(Virgin, 2022) | 7,5 |
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