
E se i loro output discografici si sono rivelati sinora all’altezza, destava curiosità la verifica onerosa del live. Bene, la risposta ha superato le attese, ulteriore controprova che una scena musicale qualitativa com’è quella attuale in Italia era da tanto che mancava.
Giorno 4 aprile, la Taranta infernale principia sulle spiagge radioattive. Gli Heroin In Tahiti di Valerio Mattioli e Francesco de Figueiredo non solo confermano dal vivo quanto di buono fatto sentire su disco, ma di più: il loro suono è così avvolgente, stordente e dolcemente allucinato che pare fondersi con le mura del Circolo in un impasto giallo-sole di un mezzogiorno d’estate. Voodoobilly abulico in salsa acida, Morricone meets Sun Araw su un atollo radioattivo.
A seguire, l’etno-malattia di Gianni Giublena Rosacroce, che con un set asciutto ed euforicamente psichedelico ha mostrato come in quelle musiche alberghi lo spirito immortale degli Aktuala.
Non destano sorprese i Father Murphy, nel senso che il loro live set si mantiene costantemente su livelli straordinari. La loro disperazione metallica rimbomba sulle pareti del circolo, ed è tutto un accartocciamento di ferro e carni.
Fabio Orsi chiude la prima serata con i suoi droni cosmici, conducendo il pubblico alle porte di un altro mondo. Gioia.
Giorno 5 aprile, l’inizio è a base di paranoia: Architeuthis Rex (Francesca Marongiu e Antonio Gallucci) conducono il pubblico nei meandri di una drone music scura e melmosa, attraversata da echi tribali e da un senso abissale di vuoto. Accompagnato da Simon Balestrazzi, MSMiroslaw di Hermetic Brotherhood Of Lux-or ci regala l’immagine di una Sardegna in disfacimento post-industriale. I suoni angoscianti che ne caratterizzano la performance stanno lì a rappresentare le rivendicazioni animalesche di istintualità primitive, che cercano di riappropriarsi dell’originaria identità sarda.
Per i Cannibal Movie stesso discorso dei Father Murphy. A dire, la loro esibizione di altissimo livello è la dimostrazione di un gruppo ormai rodato. La loro psichedelia tribale ha trasformato il Dal Verme in una foresta amazzonica in piena tempesta.
Dopo l’esibizione colorata dei Cannibal Movie si torna a ragionare in nero con gli angoscianti e rimbombanti Hmwwawciawccw. Note lunghe e plumbee, volute desertiche e desolate, la strada per l’apocalisse è un doloroso calvario.
A chiudere la seconda serata l’esibizione di Emiliano Maggi/Estasy, con una psichedelia sognante (o meglio, trattasi d'incubo dolciastro) e sottilmente ipnagogica.
Giorno 6 aprile, s'inizia viaggiando nella staticità di una psichedelia dronata. I Rainbow Island sono vertigine cosmica e rumorismo trance. Visionari.
A seguire, gli Eternal Zio, che, celati dietro maschere inquietanti, danno vita a una performance altrettanto inquietante: bordate chitarristiche e raga cosmici andati a male per il più allucinato dei bad trip.
Dopo i misterici Eternal Zio sale sul palco la massacrante Squadra Omega con il suo rock psichedelico dalle ombreggiature kraut. Vibrazioni negative, propulsioni motoristiche, trance ripetitiva da far impallidire Robert Hampson, che dire? Esiste ancora una psichedelia rock in grado di stupire.
Chiude il festival un’affascinante esibizione di Golden Cup/Luca Massolin: la perfetta interazione tra un’elettronica minimale e dissonante e una parte video suggestiva si traduce in un viaggio oltre l’ignoto.
A condire il tutto, un forte senso di comunità che era difficile pensare in questi termini. A questo punto, un Thalassa 2 diventa d'obbligo.