Il Barezzi Festival prende nome da un facoltoso commerciante di liquori e spezie, Antonio Barezzi, padre di Margherita, la moglie di Giuseppe Verdi. Forse non tutti sanno che il buon Antonio fu lo scopritore del talento del celebre compositore, nonchè suo mecenate. Così come Barezzi nel corso di gran parte dell’Ottocento ricoprì il ruolo di animatore culturale e musicale della cittadina di Busseto, oggi il Barezzi Festival, che si tiene ogni anno a Parma, intende essere una vetrina di opportunità per artisti sia già affermati che emergenti.
Quest’anno l’avventura è risultata particolarmente ricca di ostacoli: affievolitasi durante la scorsa estate l’emergenza da Covid-19, l’organizzazione aveva progettato un Festival da svolgersi in sicurezza con la presenza del pubblico. La seconda ondata pandemica, e le conseguenti limitazioni imposte dal Governo, hanno invece consentito di seguire gli eventi esclusivamente in streaming. Quando tutto era pronto, appena 48 ore prima dell’inizio di questa edizione, sono state comunicate le improvvise defezioni di Massimo Volume, Andrea Laszlo De Simone e Colombre, velocemente rimpiazzati da nomi altrettanto rilevanti, a costituire una line up di assoluto spessore.
Il Festival, e questa è la cosa importante, si è svolto regolarmente, divenendo così uno dei pochi eventi musicali di rilievo nazionale che si sono svolti negli ultimi mesi lungo la nostra penisola. Vista la modalità di fruizione, l’edizione 2020 si è sviluppata in soli due giorni: venerdì 13 e sabato 14 novembre. Il primo giorno i protagonisti sono stati Brunori SAS, Post Nebbia, Guido Maria Grillo, William Manera e Fadi. Il secondo giorno è stata la volta di Marlene Kuntz, Vinicio Capossela, Pop X, Margherita Vicario, Ettore Giuradei, Valentina Polinori e Sara Loreni.
Le esibizioni, oltre che sul prestigioso palco del Teatro Regio, si sono svolte anche in location inusuali e affascinanti, come la Sartoria del Teatro, la Sala di Scenografia e il Ballatoio del Palcoscenico. Per tutti si è schiuso davanti agli occhi un teatro vuoto, con applausi soltanto immaginati, e il vano desiderio di un abbraccio con il pubblico, che non potrà esserci. Il velo di tristezza è stato spazzato via dalla bellezza della scenografia: nella Sala Principale del Teatro Regio i musicisti suonano dando le spalle alla platea, in modo che a fungere da sfondo siano le tribunette, con lampade e lampadari a fungere da luci di scena.
In questa scenografia da favola il primo dei tre headliner ads affrontare l’esperienza è Dario Brunori, posizionato al centro del palco alle ore 20,00 del venerdì, prima al pianoforte, poi con la chitarra. Alla sua destra c’è Mirco Onofrio, ai fiati; alla sua sinistra Stefano Amato al violoncello. Un’ora e mezza a spina staccata, affrontando il terrore di qualsiasi artista: un teatro completamente vuoto. Brunori se la cava egregiamente, pescando brani estratti sia dal recente “Cip!” che dal resto della sua discografia, per un set intimo, confidenziale, emozionante.
L’istrionico Vinicio Capossela si impossessa del palco il giorno successivo, alla stessa ora, costruendo una scaletta che intende ripercorrere cronologicamente alcuni dei momenti salienti della propria carriera, raccontando numerosi aneddoti, specie incentrati sui primi anni, compresi gli antefatti che condussero alla pubblicazione di “All’una e trentacinque circa”. Attraverso vaudeville, arie jazzate e momenti più malinconici, Capossela si conferma fra i cantautori più importanti della sua generazione. Abbandona per una sera i suoi tanti travestimenti, sorseggia vini e liquori fra una canzone e l’altra, e in questa bolla di meraviglia chiude il set con un omaggio a Francesco Guccini. Ad accompagnarlo, sul palco, il solo Enrico Lazzarini al contrabbasso.
Alle 22,30 tocca a Cristiano Godano affrontare il palco, inizialmente da solo, voce e chitarra acustica, eseguendo qualche canzone estratta al recente esordio solista, "Mi ero perso il cuore". Una breve parentesi chge prelude all’ingresso del resto dei Marlene Kuntz, stasera in formazione a cinque con Riccardo Tesio alle chitarre, Luca Bergia alla Batteria, l’imponente Lagash al basso e il polistrumentista Davide Arneodo, alle prese con violino, synth e percussioni. E’ il momento dell’emergenza rock, del contributo di una band che sa come adeguare il proprio fragore all’ambiente che li sta ospitando, preservando un grande rispetto, ma evitando accuratamente di snaturarsi.
I Marlene Kuntz propongono infatti un set rigorosamente elettrico, ma forte di una potenza che non è necessariamente legata al numero di decibel sviluppati, e che i cinque hanno imparato negli anni a controllare, portandola a un livello tale di eccellenza da poter ben figurare anche in un luogo “sacro”, che di solito ospita opere liriche e sinfoniche. Il rock alternativo traslato su un livello superiore, senza rinunciare alle avanguardistiche code noise che stasera impreziosiscono “Osja, amore mio” e “Io e me”, e sigillando il tutto attraverso l’evergreen senza tempo “Nuotando nell’aria”.
Essere presenti fisicamente sotto il palco ovviamente avrebbe un sapore diverso, ma le belle inquadrature e la scenografia da togliere il fiato sono un’accettabile alternativa, in momenti come quelli che stiamo vivendo. Oggi gli artisti hanno bisogno di spazi nei quali poter rappresentare le proprie creazioni: speriamo di poter tornare presto tutti a condividere spazi comuni.
Nel frattempo piccoli boutique Festival come questo rappresentano in qualche modo un miracolo, riescono a tenere una fiammella accesa, e devono essere supportati. L’appuntamento va all’edizione 2021, sperando che possa svolgersi con tutti i crismi della normalità.