04/02/2020

Ride

Santeria Toscana 31, Milano


Dopo il passaggio lo scorso agosto all'edizione 2019 del Todays di Torino, i Ride tornano in Italia per un'unica data al Santeria di Milano per il tour promozionale del loro recente album, “This Is Not A Safe Place” (Wichita, 2019), di cui ci hanno anticipato qualcosa in una recente intervista con OndaRock. Paladini fieri e romantici dello shoegaze, i compari di Oxford hanno sempre incarnato la via di mezzo tra le raffiche oblique e mutanti dei My Bloody Valentine, il rock trasognato e onirico degli Slowdive e le sferzate rock degli Adorable. Hanno definito una cifra stilistica personale col fulminante esordio, lo splendido “Nowhere” (Creation, 1990), di cui presentano ancora dal vivo molti brani. Proprio sul palco troviamo a nudo le due principali anime della band: Andy Bell e Mark Gardener, entrambi cantanti chitarristi, due cantautori con personalità forti che fanno confluire nel loro caratteristico doppio cantato simultaneo.

Il live si accende subito con l’ultimo album, non appena si dirada quel “limbo” sonoro creato dal brano che lo apre, “R.I.D.E.”, diffuso nell’impianto prima che i membri della band abbiano raggiunto le loro postazioni. Il brano prelude alle sferzate chitarristiche sia di “Jump Jet”, sia della deliziosa “”Future Love”, uno di migliori episodi di “This Is Not A Safe Place”.
Il primo sussulto nostalgico arriva dopo la tripletta iniziale con “Leave Them All Behind”, brano di apertura di “Going Blank Again” (Creation, 1992), che fa trasparire la passione giovanile della band per i Cure. I Ride hanno suoni potenti e ricercati, un caleidoscopio di fuzz affilati, tremoli e delay che moltiplicano e sezionano i riff, ammiccando anche alla psichedelia. Perfettamente in forma anche le voci di Bell e Gardener, sia in solo sia in coppia.

Poche parole di cortesia tra un brano e l’altro per inanellare una setlist killer: la band seleziona e distribuisce infatti molto bene i brani di “This Is Not A Safe Place” insieme a quelli della penultima discreta prova “Weather Diaries” (Wichita, 2017), la prima dalla reunion, e a quelli intramontabili estratti dai primi due album, che hanno definito la personalità e la musica dei Ride. Segue infatti a “Leave Them All Behind” una “Charm Assault” persuasiva e coinvolgente, in una versione più sonica di quella presente nell’album.
L’amore per i Cure di “Disintegration” (Fiction, 1989) ritorna con “Unfamiliar”, brano tratto da “Nowhere”. Sebbene la scaletta sia varia e ben costruita, i brani del primo disco spiccano per bellezza, purezza, inquietudine e spleen giovanile, suonando sempre coinvolgenti e affascinanti. 
A questa segue una tripletta composta da una “Fifteen Minutes” in spirito Rem, dal folk melanconico di “Dial Up” e dalla new wave di “Repetition”.

“Lannoy Point” rialza l’asticella emotiva seguendo la stessa filosofia live per i brani tratti dal penultimo disco, mentre “OX4” prelude alla parte più intensa ed emozionante del live, quella cavalcata sonica densa di effetti in cui figurano ben cinque brani tratti da “Nowhere” e assolutamente iconici: quella “Taste” ancora con i Rem nel cuore; la pura emozionalità targata "Ride" di “Dreams Burn Down”; l’eterea “Polar Bear” - preferita all’ultimo momento a “In A Different Place”, che era stata inserita in scaletta - e la chiusura col brano più iconico della band, “Vapour Trail”, meraviglioso manifesto di un’estetica dreamy fuzz-verb in cui si bagnano la voce e le chitarre, in una dimensione confessionale urlata attraverso riff affilati come lame. Stavolta il recente brano “Kill Switch” sparisce al cospetto dei capolavori della band.

Sulla scia della poesia di “Vapour Trail” e degli applausi i Ride rientrano per un paio di bis. La chiusura è emblematica del migliore stile della band, che ci accarezza con l’agrodolce e beatlesiana “In This Room” per poi scuoterci con l’energia e il tiro di “Seagull” – splendido incipit di “Nowhere” che sembra uscire da “Screamadelica” dei Primal Scream – e lasciarci al chiacchiericcio del pubblico. 

Un live appassionato, energico e raffinato, fatto di canzoni costruite in una formula libera da scuole o schemi, tra pop e ricerca che solo il migliore shoegaze ha saputo tirare fuori prima dell’arrivo devastante del Brit-Pop, che poi tutto ha fagocitato.