Non bastava a Bobby Gillespie esser ricordato come colui che aveva messo mano ai tamburi in uno dei dischi più influenti usciti negli anni Ottanta, quello "Psychocandy" dei Jesus & Mary Chain che ha traghettato il pop-rock britannico dalle lande oscure della new wave alle sponde turbinose e caotiche della psichedelia shoegaze. Dopo quell'esperienza con i terribili fratelli Reid, Gillespie decise infatti di dare una sterzata alla propria band, i Primal Scream (nome scelto in onore dell'omonimo saggio dello psicologo Arthur Janov), con i quali suonava in giro per Glasgow fin dal 1982.
Per cominciare, Bobby diede alle stampe prima "Sonic Flower Groove" del 1987 e poi, nel 1989, dopo l'abbandono del chitarrista Jim Beatty rimpiazzato dal geniale Andrew Innes, l'omonimo "Primal Scream". Entrambi i dischi risultano ancora acerbi, ma colpiscono per il loro modo sbarazzino di mischiare melodie sixties, rigorosamente britanniche e ricoperte di malinconico pulviscolo psichedelico, col furore rock più genuino, di chiara matrice Stones. L'anno di svolta per i Primal Scream fu però il 1991.
Agli inizi degli anni Novanta in Gran Bretagna c'erano i romantici e disperati shoegazer, così denominati perché suonavano rannicchiati sui propri strumenti fissandosi le scarpe ("shoegazer" in italiano sarebbe "una persona che fissa le proprie scarpe"), quasi a volersi chiudere in se stessi, a volersi isolare per difendere la propria intimità dalla ferocia del mondo là fuori. Ma agli inizi degli anni Novanta in Gran Bretagna c'era anche la "pazza" Manchester, denominata per questo Madchester, coi suoi locali affollati, come il mitico Hacienda, dove i ragazzi andavano per divertirsi, ballando e sballandosi, al ritmo di lunghe feste notturne tra acid house, pop-rock e sognanti divagazioni psichedeliche. "Screamadelica" si inserisce a pennello in questo contesto: con la psichedelia shoegazecondivide la voglia di sperimentare, di andare oltre il pop-rock tradizionale, concependo lo studio di registrazione come un mezzo creativo, decisivo non solo per conferire alla band un determinato sound ma anche per dare amalgama stilistico e concettuale all'album. Della musica Madchester, invece, le canzoni di "Screamadelica" finiscono per essere le cugine "bastarde", perché l'intento di mettere in crisi il rock duro e puro è lo stesso; l'eresia dell'orgia tra pop, black music, psych-rock, house ed elettronica è la medesima, anche se il clima che si respira in "Screamadelica" è più laido e malfamato (retaggio forse delle personalità non proprio angeliche di Gillespie e di Innes, ma anche della lezione psichedelica degli anni Sessanta).
L'elemento rivoluzionario di "Screamadelica" è la sensualità. Mai prima di allora, infatti, il rock era stato così sensuale perché mai prima di allora si era denudato di fronte alla voluttà della musica da ballo, considerata spesso dai puristi di basso-batteria-chitarre come il male assoluto. In definitiva i Primal Scream, che discendevano comunque da una determinata genealogia che dai Beatles (per le melodie) conduceva ai Velvet Underground (per le atmosfere malsane) passando per la furia sacra di Stones e Stooges, hanno avuto il coraggio di ricondurre il rock alla sua bellezza femminea, a quel fascino ambiguo, a quella sensibilità sottile spesso alienata nelle forme più austere assunte dalla musica rock nel corso della sua storia.
Allora, ancor prima che una rivoluzione musicale, quella attuata da "Screamadelica" è una rivoluzione culturale, che scuote dalle fondamenta quell'ottusa impostazione preconcetta volta a tenere separati ambiti diversi, ma non per questo inconciliabili. I Primal Scream hanno dimostrato che si può partire dagli scantinati per arrivare alle discoteche, che ci si può nutrire di rock e vivere di dance music, che si può essere duri, sporchi e cattivi anche muovendo il culo.
E allora se orgia dev'essere che orgia sia: (s)ballo house, cori gospel, effetti dub, passione blues, ipnosi psichedeliche, effetti elettronici, campionamenti; tutto ammucchiato con sommo gaudio e con ebbra goduria. Ma anche con grande perizia tecnica: un disco - un grande disco - è sempre il frutto di una collaborazione di diverse compagini, ognuna determinante ed essenziale, che per umana volontà o semplice caso si sono trovate a condividere un progetto. Non si possono allora non citare Alan McGee, discografico illuminato della Creation, che ha avuto il merito di credere in Gillespie e soci, e Andrew Weatherall, genio dello studio che ha curato la produzione di molti dei pezzi del disco (gli altri produttori accreditati sono Hugo Nicolson, gli Orb e Jimmy Miller).
Uno dei pezzi a cui mette mano Weatherall è il singolazzo "Loaded", frutto di un lavoro in studio con Innes sul pezzo "I'm Losing More Than I'll Ever Have" dall'album precedente. Dal brano in questione Weatherall estrapola le linee di basso e piano, le combina con un loop di percussioni tratte da un remix di "What I Am" di Edie Brickell & New Bohemians e vi aggiunge un campionamento della voce di Gillespie che canta "Terraplane Blues" di Robert Johnson. All'inizio del brano, invece, si sente un'altra voce: è quella di Peter Fonda nel film "I Selvaggi" di Roger Corman! Non si pensi però a un collage astratto, tutto è musicalmente incastonato alla meraviglia, tanto che il brano può essere considerato la "You Can't Always Get What You Want" degli anni Novanta. Le radici blues-rock sono ancora forti nel brano d'apertura, "Movin' On Up", con le percussioni esagitate a rincorrere frenetici accordi di piano e cori gospel che sorgono impetuosi dietro gli assoli di chitarra luciferini: stavolta siamo di fronte alla reincarnazione di "Sympathy For The Devil". E allora, parallelo per parallelo, la splendida "Damaged" non può essere che la loro "Shine A Light", il tocco magico fatto della straordinarietà delle piccole cose: voce, chitarra, piano, spazzolate ai tamburi e lacrime agli occhi.
L'altro singolo da urlo è "Come Together". L'organo gaudioso che la introduce annuncia, dopo la fantasia bucolica immersa nell'acido di "Inner Flight", la ripresa della festa: si può tornare a ballare, a sognare, a innamorarsi, a scopare sugli energici contrappunti di piano che si intrecciano a poliritmi allucinogeni da trance psichedelica.
Ma ci sono anche momenti più oscuri: il pulsare soffuso di "Slip Inside This House", che aggiorna il raga psichedelico dei 13th Floor Elevators alla generazione house di fine millennio, e le due versioni di "Higher Than The Sun": la prima è un trip-hop cibernetico che sembra preannunciare gli sviluppi futuri della band e dell'altro loro capolavoro "XTRMNTR"; la seconda è, come recita il sottotitolo, una sinfonia dubin due parti, che vede la partecipazione al basso del mitico Jah Wobble. Le discoteche, dal canto loro, continuano a eccitarsi con l'orgasmo electro-soul di "Don't Fight It, Feel It", esaltata dalla meravigliosa interpretazione di Denise Johnson, mentre "I'm Comin' Down" e "Shine Like Stars" sono caramelle psichedeliche dalla melodia lasciva.
Come già anticipato, la saga dei Primal Scream non era assolutamente conclusa con "Screamadelica", anzi nuove rivoluzioni erano alle porte con "Vanishing Point" del 1997, il già citato "XTRMNTR" del 2000 ed "Evil Heat" del 2002: l'Urlo Primordiale continuerà a mietere vittime tra gli appassionati rock che, dopo essersi prostrati dinanzi alla frizzante vitalità housedelica di questi undici pezzi, si inchineranno ancora di fronte alle esplosioni techno-punk di "Swastika Eyes", "Accelerator" e "Miss Lucifer".
16/10/2010