
La Primavera non ha tardato ad arrivare quest’anno. Dopo due edizioni mancate a causa della pandemia, Porto è tornata finalmente a ospitare per la nona volta il NOS Primavera Sound Festival. La cornice è come sempre il bellissimo Parque da Cidade, autentica oasi verde a due passi dalle spiagge più frequentate della capitale do Norte. Il festival condivide molti artisti con il “fratello” maggiore di Barcellona, ma ha un afflusso di spettatori minore e meno sovrapposizioni di concerti, cosicché risulta più attraente per coloro che non amano gli eventi iper-affollati. O semplicemente, per chi è affascinato dall’idea di avere l’opportunità di perdersi nei vicoletti di una città vestita a festa in occasione del Dia de Portugal, sorseggiando magari un bel bicchiere di Porto in uno dei tanti localini in riva al Douro.
La prima delle tre serate di concerti nel polmone verde di Porto è egemonizzata da artisti australiani. Infatti, ad eccezione della stellina locale Pedro Mafama, a cui tocca aprire le danze, le altre band che si succedono nel palco principale provengono dalla terra dei canguri. Dopo il pop brioso e simpatico di Stella Donnelly, i riflettori si spostano verso Nick Cave & Bad Seeds che decidono di materializzarsi sul palco alle 21,20 in punto. Accompagnati per l’occasione da tre cantanti gospel, cominciano senza indugio con la frenetica “Get Ready For Love” e intrattengono il pubblico per oltre due ore in un concerto di rara bellezza e intensità. Tutti conosciamo il carisma di King Ink, ma assistere dal vivo a una sua performance è pura magia. Cave si muove freneticamente dal palco alla buca, scalcia, salta, sussurra e impreca senza mai risultare forzato. In un paradossale connubio fra totale controllo della folla ed estatico abbandono, stringe le mani ai fan, lascia il microfono a uno sbigottito spettatore durante “Tupelo” e dialoga costantemente per tutto il concerto con il pubblico. Si mette al pianoforte per suonare la dolcissima “Waiting For You” e all’armonica durante "City Of Refuge". Abbraccia uno scatenato Warren Ellis, invita tutti a cantare con lui l’intramontabile “Into My Arms” e infine si congeda da noi comuni mortali con la dolorosissima “Ghosteen Speaks”.
Dopo una prova di forza così monumentale, risulta compito non facile per Kevin Parker e la sua band mantenere alto l’umore del pubblico. Sfruttando però il loro status di headliner, i Tame Impala mettono in piedi uno spettacolo altamente scenografico. Piogge di coriandoli, immagini psichedeliche continuamente proiettate negli schermi laterali, luci stroboscopiche e fumogeni esaltano il clima festoso e in un certo qual modo compensano la poca loquacità del frontman.
Come da tradizione, il Primavera risulta estremamente interessante anche seguendo gli spettacoli che avvengono nei palchi minori. Non si possono non menzionare per la prima serata le distorsioni acide della band di Kim Gordon, ex-bassista dei Sonic Youth (tra l’altro accompagnata al basso da una stupefacente Camilla Charlesworth) e il geniale rock sperimentale dei Black Midi. A cavallo della mezzanotte è il pop/rock sognante dei Cigarettes After Sex a incantare un pubblico numerosissimo, rinfrescato da una leggera e piacevole brezza atlantica ed esaltato dalle suggestive melodie del gruppo texano.
Il venerdì, secondo giorno di festival, non ha gli acuti della serata precedente ma non per questo risulta meno entusiasmante. Secondo le previsioni, il concerto più atteso avrebbe dovuto essere quello di Beck che mancava in terra lusitana da ben tre lustri. Effettivamente il folletto californiano non tradisce le attese e si presenta di bianco vestito proponendo tutti i suoi grandi successi. Tuttavia, la risposta del pubblico è inaspettatamente tiepida. Ci sono alcuni momenti specifici in cui sembra che il concerto possa decollare. Ad esempio, quando Beck canta “Up All Night”, fortunata colonna sonora di un’edizione del videogioco Fifa, la gente si sveglia dal torpore e lo accompagna volentieri nel canto. Ma già alla successiva “Colors” si limita ad ascoltarlo silenziosamente applaudendo al termine del brano. Solo alla fine, quando partono le prime note del suo più grande successo “Loser”, i fan rompono ogni indugio e alzano i cellulari per registrare il brano che ha cambiato per sempre la carriera di Beck e di molti suoi emuli. Ma è già tardi e a quel punto c’è solo tempo per un’ultima canzone, "Where It's At", prima che l’artista si congedi dal pubblico, sebbene non definitivamente (spoiler: ci sarà ancora spazio per lui la sera successiva per un breve cammeo nel concerto conclusivo dei Gorillaz).
Di tutt’altro tenore è la reazione dei fan durante il concerto degli Shellac. Il gruppo americano, ospite quasi fisso al Primavera, arriva sul palco Binance, dedicato alla musica alternativa, con poca enfasi. Il trio sembra composto da vecchi amici che si accingono a esibirsi nel locale sotto casa: il bassista Bob Weston sorseggia sornione un bianco, Todd Trainer entra con un certo anticipo per eseguire gli ultimi controlli alla batteria, incurante del pubblico. Basta però che Steve Albini, accenni solamente i primi accordi di “All The Surveyors” per catapultare l’attenzione su di sé e scatenare una reazione entusiastica dei supporter, che non smetteranno di incitare neanche per un momento la band capitanata dall’occhialuto chitarrista di Pasadena.
Nella stessa serata ci sono altri momenti degni di nota: le sonorità elettriche ed eteree degli Slowdive, il ritmo frenetico di Jehnny Beth o quello più compassato dei redivivi Pavement. Tuttavia, se mai dovessero attribuire un premio al concerto più convincente del giorno, un valido candidato potrebbe essere senza dubbio quello di King Krule. Con una scenografia ridotta all’osso, in cui campeggia un simpatico cagnolino, MR Marshall propone con la sua band molte delle sue canzoni sapientemente riarrangiate. Non è complicato scorgere qualche timida lacrimuccia fra i suoi fan quando il riccioluto cantante inglese intona “Rock Bottom”, la canzone in cui parla della sua lotta contro la depressione. Non è facile trovare qualcuno che non canticchia la sua “Easy Easy” quando conclude la sua performance.
L’ultima serata del festival registra un enorme afflusso di pubblico con oltre 35.000 partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’estero. Effettivamente, pur incentivando la presenza di artisti lusitani, l’organizzazione del NOS Primavera è stata particolarmente lungimirante dando un respiro internazionale all’evento e rendendolo appetibile anche a chi non è abituato a seguire la scena musicale portoghese.
Nei cinque palchi messi a disposizione si sono succeduti nel giro di poche ore artisti affermati come Helado Negro, Interpol e Dinosaur Jr e artisti emergenti di spicco come Khruangbin, Little Simz, Jamila Woods e Earl Sweatshirt. Per fortuna, considerando il programma serratissimo, in molti casi era possibile sfruttare la particolare conformazione del parco per assistere ai concerti anche da lontano, ponendosi su delle collinette erbose dove era comunque garantita una buona acustica.
Una giornata così entusiasmante non poteva avere un epilogo migliore dello straordinario concerto dei Gorillaz. Damon Albarn fa il suo ingresso nel palco con una giacca fucsia e un cappellino rosa, cantando “M1 A1”. L’effervescente cantante inglese non risparmia alcuna energia trotterellando senza sosta e interagendo con il pubblico da lontano o gettandosi sugli spalti e arrampicandosi sulle sbarre, sostenuto solo dalle guardie di sicurezza. Suona la chitarra e si mette al piano come frontman, ma sa anche mettersi in seconda linea al servizio dei super-ospiti che appaiono inaspettatamente durante il concerto. Beck lo accompagna in "The Valley Of The Pagans", una canzone dell’ultimo lavoro dei Gorillaz; il rapper americano Bootie Brown in "Stylo" e “Dirty Harry” e l’elegantissima cantante ivoriana Fatoumata Diawara in "Desolée". Albarn trova anche il modo di duettare virtualmente con Robert Smith dei Cure nella fortunatissima “Strange Timez” e sul palco con una scatenata Little Simz che poche ore prima aveva trionfalmente concluso il suo concerto nell’arena Cupra. In uno spettacolo pieno di sorprese, il gran finale è riservato a "Feel Good Inc." con POS di De La Soul e all’intramontabile “Clint Eastwood” cantata con la partecipazione di tutto il pubblico.
Nonostante l’ora tarda in cui si conclude il concerto dei Gorillaz, non è ancora il momento di andare a dormire perché al NOS Primavera Sound Festival si deve rigorosamente aspettare che arrivi l’alba. Tutte le notti l’enorme spazio BITS ospita dj set di richiamo. A traghettare gli astanti verso la domenica ci sono artisti molto apprezzati nel circuito elettronico come la decana delle consolle DJ Marcelle e l’arrembante Joy Orbison.
All’uscita del Parque da Cidade un timido raggio sole illumina l’Anemone, una sorta di enorme rete da pesca installata dall’artista Janet Echelman nella rotonda da dove partono i bus che riportano i sopravvissuti al centro città. Tutti escono in maniera molto composta e c’è già chi si chiede quale sarà la line-up della prossima edizione.