Whenever I was a child
I wondered what if my name had changed
Into something more productive
Like Roscoe been born in 1891
Waiting with my aunt Rosaline
“Roscoe”, l’opening track del secondo album dei Midlake, è un vero e proprio tuffo nel passato, sia sul piano lirico che su quello musicale. Scalatori, scalpellini, la figura dell’antenato Roscoe, villaggi pastorali, i cui terreni non sono ancora stati profanati dal ricorso eccessivo a fertilizzanti chimici o dai deflussi inquinanti delle industrie, rievocano un mondo idillico, arcadico e fuori dal tempo, un mondo che fungerà da sfondo per tutte le canzoni di “The Trials Of Van Occupanther”.
Musicalmente, invece, “Roscoe” e il suo memorabile intreccio tra pianoforte, chitarre e melodie vocali si ricollegano alla stagione d’oro del rock californiano degli anni Settanta, in bilico tra folk-rock e soft-rock, e si distanziano dallo sbilenco (folk-)pop psichedelico in chiave lo-fi con cui i Midlake si erano affacciati timidamente sulla scena internazionale due anni prima.
La metamorfosi sonora attuata dalla band americana non deve però stupire eccessivamente. Fin dalla loro fondazione sul finire degli anni Novanta, i Midlake si erano infatti mostrati alla ricerca della loro vera identità sonora, evolvendosi progressivamente con il passare del tempo. Dopo i primi concerti all’insegna di lunghe jam session in stile jazz-funk (tutti i cinque membri della band avevano frequentato al college di Denton, Texas, l’indirizzo di studi dedicato alla musica jazz), il gruppo aveva trovato un significativo aggancio con la pop music grazie a canzoni composte nel solco dello sperimentalismo dei Radiohead (la grandissima e fulminante passione del frontman Tim Smith), di Björk e di Rufus Wainwright.
Sette brani furono raccolti nel 2001 nell’Ep “Milkmaid Grand Army”, ma il primo album vero e proprio fu pubblicato solamente nel 2004 presso la Bella Union di Simon Raymonde. Tuttavia, nonostante la presenza di alcune gemme come “Balloon Maker” e “King Fish Pies”, “Bamnan and Silvercork” non riuscì a portare i Midlake al di fuori dell’anonimato underground (peraltro il disco ricevette maggior considerazione in Europa che negli States).
Con “The Trials Of Van Occupanther” i Midlake rinnovano dunque le loro coordinate musicali. Tim Smith scopre il folk-rock di Neil Young, il cantautorato di Joni Mitchell, il flauto magico dei Jethro Tull e il luccichio di “Rumors” e riorienta così completamente il suo songwriting. Ma il desiderio di rinnovamento traspira anche e soprattutto dalle sue liriche. Se il ritornello di “Roscoe” traina il disco proprio attraverso il desiderio di un cambiamento non meglio specificato (“thought we were due for a change/ or two around this place”), la traccia successiva, “Bandits”, descrive un nuovo inizio. Mentre una coppia si avventura per una battuta di caccia in cerca di cibo, la loro casa, rimasta incustodita, viene saccheggiata da un gruppo di banditi. Spogliate dai loro averi, le due persone sono però subito pronte a ricominciare la loro vita con un pizzico di ironia, partendo proprio dagli animali appena catturati.
So upon our return, we found everything gone
Which for us was no loss
We started over with a rabbit and an ox
Così come avviene per “Roscoe” e “Bandits”, tutte le canzoni del disco si affrancano fra loro tramite una consonanza tematica. Pur non andando a costituire un concept-album, gli undici brani sembrano essere l’uno il prolungamento dell’altro e tratteggiano, strofa dopo strofa, il mondo bucolico e fiabesco immaginato da Tim Smith. La realtà in cui vivono i suoi personaggi è fuori dal tempo, ma è ben definita nelle sue connotazioni paesaggistiche: boschi, colline, praterie e un oceano inconquistabile che palpita lontano, dove fiumi e torrenti muoiono scrosciando il proprio epitaffio. Le difficoltà dell’inverno, tra gelo e razionamenti alimentari, la solitudine (forzata e/o ricercata), il conflitto interiore fra il desiderio di stabilità, la nostalgia di casa e la brama di avventure sono alcuni dei temi ricorrenti all’interno del disco.
Tra i tanti personaggi pennellati da Smith in “The Trials Of Van Occupanther”, il più intrigante è sicuramente quello che dà il titolo all’opera, Van Occupanther, protagonista della ballata acustica omonima. Si tratta di uno scienziato che vive una vita ritirata, dedita ad alcuni esperimenti che probabilmente stanno per condurlo a compiere una nuova e rilevante scoperta: “My science is waiting nearly complete/ and one glass will last for nearly a week”. Incapace di relazionarsi con gli altri abitanti del villaggio, Van Occupanther sembra però trovarsi a suo agio solo nella sua condizione di eremita: “Let me not be too consumed with this world/ sometimes I want to go home/ and stay out of sight/ for a long time”.
Sebbene l’io lirico sia sempre quello di un personaggio maschile, diverse sono le figure femminili che popolano le storie di “The Trials Of Van Occupanther”. Due amanti infelici e pensierose sono descritte in “Young Bride” e in “Branches”, brani che, non a caso, sono collocati in sequenza. Nel primo di questi, la novella sposa è una statua-simulacro, pietrificata nella solitudine domestica, incapace di muoversi e di sopportare il lento scorrere del tempo durante il rigido inverno. Eppure la sezione ritmica è martellante, un violino addolcisce la foresta gelata e l’intensità emotiva è da brividi: il dramma dell’incomunicabilità è trasposto in musica in un modo magistralmente toccante. E lo stesso dramma viene poi riproposto in modalità e tonalità differenti nella placida ballata “Branches”. Qui l’amante è pensierosa e l’uomo percepisce l’imminenza della fine della loro relazione, ma non ne comprende realmente le cause.
Un amore apparentemente dolcemente ricambiato è il protagonista della canzone successiva, l’ultima di questo trittico sentimentale posto al centro del disco. Un soldato, forse ferito, riceve dalla gentile Babette brevi visite pomeridiane: lei gli porta il tè per ristorarlo, lui medita di sposarla e di congedarsi dall’esercito: “I wanted to marry Babette/ and the weapons on my shoulders/ I’d throw into seaweed banks”. Ma la guerra infuria, risuona un alto corno, e un improvviso e sorprendente stacco strumentale si abbatte aggressivamente sul soldato che verrà con ogni probabilità trascinato a nord con lo spostamento delle truppe.
Dopo “In This Camp”, la chiusura del disco è affidata a quattro brani brevi, ma non per questo meno intensi. “We Gathered In Spring” è sospesa tra fantasia storica (i giganti straordinariamente longevi che abitavano sulle colline) e una realtà straniata tra chitarre acustiche e tastiere fantasmatiche. “It Covers The Hillsides” recupera invece il pop-rock di Jackson Browne per narrare una disperata navigazione fluviale alla ricerca di cibo, mentre la neve ricopre abbondantemente le strade, i pendii delle colline, le case e le pinete.
I’m not sure where this river goes
But we have no choice but to follow
There is smoke in the sky over those trees
Let us hope they are kind to you and me
“Chasing After Deer” e “You Never Arrived” concludono mestamente “The Trials Of Van Occupanther”. La loro limpida semplicità armonica diviene un segno tangibile del viaggio di ricerca intrapreso dalla band, il cui approdo definitivo consiste in una musica condensata attorno un nucleo emozionale, caldo e vibrante. Una musica che nel 2006 poteva anche sembrare inattuale, ma che allo stesso tempo è incapace di invecchiare e di perdere il suo smalto vitale.
“I thing I’ll head home”, canta Tim Smith nella commovente cavalcata elettrificata “Head Home”. Componendo questo secondo album, i Midlake giunsero davvero a una destinazione musicale che poterono considerare casa loro, e “Roscoe” rimarrà per sempre il monolitico portale che permette ad ascoltatori e ascoltatrici di addentrarsi nel mondo magico e appartato di Van Occupanther.
29/01/2023