Pur riuscendo a mantenere uno standard qualitativo sufficientemente elevato, "Non è per sempre" e "Quello che non c'è" mostravano uno perdita di baricentro derivante dalla volontà di sperimentare nuove soluzioni, che avevano indubbiamente sacrificato la sciamanica espressività di Manuel Agnelli all'altare dell'introiezione di modelli musicali distanti dall'originaria proposta della band. Con "Ballate per piccole iene", gli Afterhours tornano ad affondare il coltello nelle carni, alla luce di una manciata di composizioni subdolamente passionali, dove il verbo del rock'n'roll è sviscerato con ferma convinzione nella solita alternanza di sfoghi rabbiosi e momenti di agre e disillusa riflessione.
La scrittura di Agnelli è sempre centrata, mai barocca, e soprattutto consapevole di essere giunta a completa maturazione, capace di veicolare con efficacia pop i sentimenti del nostro, ma anche di dar vita a un gioco peccaminoso di simulazioni e dissimulazioni, tra la grandeur da cantautore vissuto e il ricordo di adolescenziali e rumorosi impeti alternativi. Una dimensione adulta che fa di Agnelli un personaggio compiuto all'interno del panorama musicale italiano e che lo prepara al possibile, oltre che meritato, successo commerciale, fors'anche oltre gli italici confini. Per conferire un respiro internazionale all'intera operazione, il nostro si è attorniato di una serie di personaggi di indubbia caratura e "morale alternativa", come il compagno di bevute Greg Dulli, coproduttore del disco, e John Parish attivo ai missaggi sulla metà dei brani. "Ballate per piccole iene" è un disco dall'atmosfera plumbea, dove l'oscurità serpeggia sottotraccia, quasi timida, ma che avvolge l'ascoltatore inconsapevole tra le sue spire.
Rabbia, inquietudine, amarezza sono sentimenti che hanno costantemente impregnato le canzoni degli Afterhours, ma qui sembrano essere letargiche assassine, pronte a colpire, ma immobili, presenti ma distanti, represse dal tempo, coagulate ormai in una disillusione frutto dell'esperienza. I momenti di pura introspezione si fanno preferire, e laddove emergono sferraglianti le chitarre, il rumore è sempre composto, si veda in proposito "Così com'è", figlia bastarda delle varie "Germi" e "Male di miele". Non emerge la volontà di strafare, di scrivere il brano definitivo, tentazione da cui gli Afterhours si sono lasciati spesso sedurre, ma "La sottile linea bianca" potrebbe non a torto diventarlo, con il suo incedere meditabondo, tra falsetti e pavide distorsioni che veleggiano su di un delicato sottofondo pianistico. Poco più in là, dalle parti di "Ci sono molti modi", affiora ancora un Agnelli votato al culto della ballata pensosa, mentre in "La vedova bianca" riemergono prepotenti baccanali al rumor bianco.
Citazione d'obbligo anche per il singolo "Ballata per la mia piccola iena", che funge da perfetto pezzo d'impatto, con quella sua appena accennata linea melodica reiterata in un inesploso crescendo chitarristico. Bello e deturpante.
09/12/2005