La sensazione di fronte a "The Saga of Mayflower May", il precedente lavoro di Marissa Nadler, era di ritrovarsi tra le mani un tesoro prezioso, del quale tutti o quasi ignoravano l'esistenza. Un doppio stupore, quindi. Come poteva un talento simile rimanere relegato ai margini del circuito indie, nell'indifferenza generale? Due anni dopo, la cantautrice statunitense è tornata, con qualche freccia in più al suo arco. Prima alcune autorevoli testate specializzate (Pitchfork, The Wire, Uncut), poi perfino la Bbc si sono accorti di lei. Quindi, sono arrivate le tournée in America e in Europa a consolidarne la fama di astro nascente del folk internazionale. Un folk dal sapore antico, però, che poco o niente ha a che vedere con la weird-generation e con l'hype di stelline come Joanna Newsom o le sorelle Casady, ripiegando piuttosto negli austeri canoni della sacra triade Baez-Cohen-Mitchell.
Per il suo terzo disco in quattro anni, "Songs III: Bird On The Water", la Nadler ha così potuto beneficiare del sostegno di una nuova etichetta, l'inglese Peacefrog, e della produzione di Greg Weeks, oltre alla partecipazione di altri due musicisti degli Espers, Jesse Sparhawk (mandolino, arpa) e Otto Hauser (percussioni).
Alle prese con violoncello, chitarra e synth, di contorno al suo soprano cristallino, l'aggraziata damigella del Massachusetts conferma anzitutto la sua crescita come musicista e cantante. Non la solita ragazza con la chitarra, ma una polistrumentista versatile, dotata di un'attitudine "classica" che le conferisce un maggior senso della misura rispetto alle confuse velleità pseudo-avanguardistiche di altri/e esponenti del genere. E resta l'enorme potenza evocativa di una voce spettrale, che sembra provenire addirittura da un altro evo. Lo scheletro delle sue gelide ghost-ballad è intatto, ma gli arrangiamenti si presentano ora meno spogli, con qualche distorsione di chitarra elettrica a irrobustire il sound.
Rispetto a "The Saga of Mayflower May", però, l'impianto melodico appare più debole: mancano quelle aperture radiose che schiantavano l'ascoltatore in madrigali da brividi come "Under An Old Umbrella" o "Famous Song", e talora Marissa indulge in qualche leziosismo di troppo. Paradossalmente, proprio l'acquisita consapevolezza dei propri mezzi sembra aver imbrigliato il suo songwriting, attenuando il pathos quasi "primordiale" che lo pervadeva.
Ma la classe non è acqua, e allora basterebbero i bagliori psichedelici di "Mexican Summer", sospesi tra Calexico e Mazzy Star, e le palpitazioni soffuse di "Dying Breed" a surclassare nugoli di cantastorie in gonnella (e non). Poi c'è la folksinger moderna, che flirta con l'elettronica (le tastiere stralunate di "Bird On Your Grave") e con la spigolosità delle chitarre ("Rachel"), senza rinunciare alla sua inflessione classica à-la Joan Baez (il singolo "Diamond Heart", forse la miglior ballata del lotto). E rivive anche il nume tutelare Cohen, virato a tinte (ancor più) fosche nella cover di "Famous Blue Raincoat". Il resto, però, rimane imprigionato in una bolla di vetro, con pochi guizzi e molto mestiere.
Il lirismo gotico e mesmerico di Marissa Nadler affascina ancora, ma non riesce a esprimersi appieno nella sua opera terza. Se però servirà a far conoscere al mondo il talento di questa sirena ammaliatrice, "Songs III: Bird On The Water" sarà tutt’altro che un disco inutile.
14/02/2007