Guillemots

Red

2008 (Polydor)
pop

Prima di avviare l'analisi del nuovo parto discografico degli istrionici Guillemots, un piccola ma significativa avvertenza. Ho potuto constatare (non senza una certa sorpresa!) che circola in rete una versione totalmente fasulla dell'album in questione, realizzata da un fantomatico gruppo che ha scelto di restare avvolto nelle coltri di un oscuro anonimato. Più di qualcuno è caduto nella trappola, anche perché nome della band e tracklist coincidono totalmente con il prodotto originale (e non si capisce quale vantaggio possa aver tratto il gruppo misterioso da un'operazione di "pirateria" così bislacca e maldestra), ma è importante chiarire subito una cosa, a scanso di ulteriori e sgradevoli equivoci: manteniamo tutti la calma (o non esaltiamoci troppo prematuramente, a seconda dei casi), i Gullemots non si sono dati a una forma di minimalismo elettronico solipsistico, in bilico tra i Portishead più spinti e Four Tet!

Detto questo, suona quasi del tutto paradossale, ma in fondo non lo è, che "Red", il secondo album della band inglese, sia caratterizzato da sonorità decisamente più elettroniche di quanto fosse lecito aspettarsi. Ma conviene partire dall'inizio. Ovvero dalla favola (è proprio il caso di dirlo) di una band che al suo primo apparire fece saltare più di una mandibola, in un primo momento con il meraviglioso Ep "From The Cliffs" (vertice d'ispirazione finora insuperato) e successivamente con "Through The Windowpane", irripetibile album che pareva annunciare la buona novella di una band letteralmente paracadutata sulla terra da un pianeta bello e stranissimo per salvare il futuro della musica pop, irriducibile a qualsivoglia tendenza allora (e tutt'oggi ahinoi!) in voga (era il 2006) e apparentemente in grado di far progredire verso lidi imprevedibili l'interminabile (e spesso purtroppo ripetitivo) discorso della musica inglese.

Avendo in testa premesse di tal fatta, è con un certo sgomento che si constata come il nuovo "Red", invece di rappresentare il passo decisivo verso una consacrazione irrevocabile, possa essere considerato nel suo complesso un omaggio appassionatissimo a certo elettro-pop da classifica che andava terribilmente forte negli anni Ottanta. Operazione del tutto legittima, per carità, ma tutto avremmo pensato (orchestre sinfoniche, inaspettate aperture world, siparietti alla Gainsbourg, incursioni più marcate nel tropicalismo esplicito, peraltro più volte sfiorato) salvo che anche i Guillemots si mettessero a rovistare tra i rimasugli sonori di un decennio (ormai un luogo nella mitologia collettiva) che in tempi recenti è stato a dir poco dissanguato dai gruppi dell'ultima generazione. Ma non bisogna nemmeno dimenticare che il quartetto britannico ha in fondo sempre pensato a se stesso come a un gruppo pop in senso fortemente classico che, a parità di Orchestra, è sempre stato più vicino all'Electric Light che non alla Penguin Cafè. Insomma, una versione più complicata e letteraria di Mika e Scissors Sisters, ma, andando a scavare appena sotto la superficie, sempre di Elton John si era trattato.

Questo emerge ancora più chiaramente ascoltando il tenore complessivo delle nuove tracce. Tanti coretti sull'asse Abc-Pulp, tappeti ritmici elettrificati da synth saettanti nel solco di Human League, Visage, Soft Cell e Ultravox, sventagliate di pop imperioso a pieni polmoni e tutto un arsenale di trovate al cospetto delle quali qualche estimatore dei lavori passati potrebbe sentirsi spaesato, quando non deluso. Ma in fondo, al di là del vestito esteriore e delle movenze sonore, quello che conta in casi come questo sono la capacità di scrittura e, soprattutto, le canzoni. Quelle per fortuna al gruppo non sono mai difettate, così come un talento di scrittura decisamente superiore alla media, e così momenti di discreto divertimento non mancano nemmeno nell'esperimento temporale (per più aspetti discutibile) di questo "Red".

L'iniziale "Kriss Kross" introduce bene a quello che seguirà, proponendo quasi una rilettura del vecchio classico "Trains To Brazil" in chiave eighties. A farla da padrone è senz'altro un ritornello a presa più che rapida, in cui l'amore dei Guillemots per i vecchi musical newyorkesi trova tutto lo spazio necessario per portare alle più pompose conseguenze il suo irrefrenabile slancio liberatorio. Dinanzi alla svolta radicale di pezzi come "Big Dog", il singolo "Get Over It", la cattivissima "Last Kiss" o "Standing On The Last Star" (qualche avvisaglia si era forse potuta percepire in qualche vecchio pezzo, come "Annie Let's Not Wait", dall'album precedente), si resta attoniti e la curiosità (per come potrà andare a finire) cresce, insieme a un sottile spazientimento.

Poi ci si ricorda che sono ancora calde le braci mediatiche del sedicente "new rave" e qualche sospetto di astuzia strategica inizia a farsi strada. In "Coockateels" si ritrova un po' del vecchio stile pindarico e farneticante, a base di iperboli ripidissime e spericolate e omini con la bombetta e un ombrello aperto in mano che piovono dal cielo sorridendo come Fred Astaire. "Falling Out Of Reach", sulle tracce di Van Morrison ed Elvis Costello, e "Don't Look Down" (prima che ripartano gli effetti elettronici) hanno un bella melodia e si fanno ascoltare, per il resto invece occorreranno altri ascolti. Nel mentre si può solo prendere atto di un disco troppo "normale" e questo, nel caso di un gruppo come i Guillemots, non può, non deve bastare.

08/04/2008

Tracklist

  1. Kriss Kross
  2. Big Dog
  3. Falling Out Of Reach
  4. Get Over It
  5. Clarion
  6. Last Kiss
  7. Cockateels
  8. Words
  9. Standing On The Last Star
  10. Don't Look Down
  11. Take Me Home