Perché, Federico, perché?
Perché riprendere in mano il Sacro Graal dei Diaframma e prolungare la sua storia all'infinito con evitabili appendici?
Perché intestardirsi su temi già ampiamente triti e ritriti nella discografia della band?
Scrivi poesiole talmente elementari e prevedibili, che al confronto i testi di Tiziano Ferro sembrano estratti da una Treccani. Alcuni passaggi risultano addirittura inaccettabili, tipo "L'ha detto anche Prandelli che i risultati si ottengono col gioco" oppure "Comunque hai ragione tu, ognuno per la sua strada e non pensiamoci più", con una resa in rima fra le più scontate di sempre.
E vogliamo parlare dell'inguardabile copertina?
Per carità...
E stendiamo un velo pietoso sulle foto del booklet, con in bella mostra quei compact dei Ramones, così distanti oggi dal tuo approccio cantautorale affaticato, debitore più di Alberto Fortis che della scuola punk-rock dei tardi anni 70.
Ma allora perché queste dolenti note lentamente mi si infilano sotto la pelle?
Perché piano piano ascoltando la tua voce mi si scioglie il cuore?
Perché esulto quando parti con quegli attacchi musicali rabbiosi che mi attorcigliano le viscere?
Perché non riesco a evitare di riprogrammare all'infinito questo dannato cerchietto di plastica?
Non è certo il tuo lavoro migliore, però si insinua diabolicamente nel mio cervello, e cresce, cresce, libidinosamente.
Sei uno stregone, o forse un furbo mistificatore, ma noi ti amiamo, Federico.
Quando alzi i toni sul finale di "Dura madre", ci sai esaltare come ai tempi d'oro, quei tempi suggellati nella recente riedizione di "Live & Unreleased", già apprezzata da queste parti.
E il meglio lo conservi per le irresistibili aperture strumentali di "Dolce insonnia" e "Il sogno di te", oltre che nelle brevi e concise "Intro" e "Outro".
Ci parli di sesso, di desiderio, di occasioni mancate, del grigio della vita, degli amici che si adeguano al sistema e del tempo che passa con inesorabile noncuranza.
Alla fine torna tutto, o quasi, in questo nuovo piccolo saggio di cantautorato rock, sporcato di convenzionalità e di accomodante pop, ma anche di impreviste leggere virate simil-jazz, con la sezione ritmica affidata alle sapienti mani di Lorenzo Alderighi (basso) e Lorenzo Moretto (batteria).
Non serve altro in questo ritorno del marchio che più di ogni altro diede un senso alla dark-wave italiana, formando negli anni 80 assieme ai Litfiba l'avamposto del rock sotterraneo nazionale, protagonista della fioritura di una scena fiorentina mai più così vivace e tenace.
E, tutto sommato, oggi ci può quasi andar bene così.
07/10/2009