Una conferma del talento dei Dirty Projectors era prevedibile, ma l'incrocio con il pop realizzato in "Bitte Orca" supera le speranze e l'immaginazione del loro pubblico. Un totem sonoro ricco di simbolismi e idee, un album dalla progettualità intensa che non lascia nulla al caso.
Il rigore stilistico dissacra l'essenza del pop-rock frammentando i ritmi in 4/4, la musica è un flusso trasversale che abbraccia i Black Flag e Mariah Carey in cerca di una carnalità rovente, un insieme sonoro che riporta all'ingenua alchimia ritmica che caratterizzò il post-punk nella sua corrente avversa al rock 'n' roll conservatore.
Il funk, il beat, il dub, il soul elevati a linguaggio intellettuale e liberatorio della working class, la filosofia sonora di Captain Beefheart applicata all'arte popular, questo aleggia nelle pieghe sonore di un disco molto singolare.
"Bitte Orca", sesto album del gruppo, è il trionfo dell'indie-rock in un momento storico che vede tale fenomeno confuso dal mainstream e dall'autocelebrazione. Ritmi flessibili, melodie accessibili che celano tranelli emotivi, frutto di una elaborazione sonora degna del miglior art-rock.
Tutto ciò che avevamo ammirato nei loro precedenti album qui risulta più conciso, stranamente più irriverente, pur flirtando coi primordi del pop: una divertita bizzarria nonsense che diviene linguaggio comprensibile.
I Dirty Projectors stabiliscono un nuovo punto di contatto e collisione tra la musica sperimentale e il pop-rock abitualmente inteso, la grande pulizia sonora non stride con il loro repertorio, anzi, aggiunge uno strano timbro soul-pop che rimanda ai primi Steely Dan (?).
Dave Longstreth estrae dal suo cilindro magico impossibili ritmi afro-beat per la festosa "Temecula Sunrise" (ancora una citazione agli Eagles dopo l'album dedicato a Don Henley?), poi propone il suo amore per il soul di Bill Withers nella splendida "Remade Horizon", ricca altresì di cori femminili multi-etnici a tratti polifonici.
Variegato e imprevedibile "BitteOrca" ha molti spunti per catturare la vostra attenzione: il soul-funk di "Fluorescent Half Dome" evidenzia l'anima più raffinata dei musicisti, che non disdegnano il pop più adulto in "Stillness Is The Move", accattivante brano tra soul e hip-hop.
Vigorosa e solare la perfetta costruzione ritmica e melodica di "Cannibal Resource", che apre l'album sintetizzando al meglio la nuova fase stilistica di Dave Longstreth, immaginate un incontro tra David Byrne e Green Gartside nel loro momento di grazia.
Imprevedibili anche i due momenti acustici: il primo, "The Bride", non resiste però molto alla dissacrante bizzarria ritmica del gruppo, creando attimi d'indecisione stilistica tra ironia e gioco; l'altro brano quasi-acustico, "Two Doves", incrocia musica cameristica, fingerpicking e folk estatico, senza attenuare l'irriverenza sonora del disco.
Il vero trionfo dei Dirty Projectors è l'aver rinunciato ad alcune auto-indulgenze che rendevano incomprensibile la loro ironia, il rigore intellettuale sembrava non rendere possibile la loro discesa nel mainstream, ma qui, miracolosamente, tutto è fruibile senza essere banale.
Anche la sequenza dei brani ha una logica ineccepibile, le due briose tracce iniziali ("Cannibal Resource", "Temecula Sunrise") consentono all'ascoltatore di familiarizzare con l'humus del disco, i due tocchi di classe successivi ("The Bride", "Stillness Is The Move") rendono il tutto solenne, per poi creare un attimo di tregua ("Two Doves") prima dell'apoteosi di "Useful Chamber".
Centro di gravità dell'album, "Useful Chamber" è un patchwork dove tutte le ambizioni del gruppo si concretizzano, armonie nonsense e testi incomprensibili che acquistano una sonorità che sembra familiare e straniante nell'insieme, eccessiva e malleabile, con spunti prog, hard, soul e country che si susseguono senza apparente soluzione di continuità.
Quello che segue ("No Intention", "Remade Horizon", "Fluorescent Half Dome") rimarca con classe e spessore tutto ciò precedentemente sottolineato.
I Dirty Projectors riportano il pop nell’avantgarde con una schiettezza e una consapevolezza disarmanti. Concependo canzoni dall'apparenza inoffensiva, ma strutturalmente profonde e ricercate. Come novelli Xtc, elaborano ritmi pulsanti e armonie disoneste, ovvero tutto ciò di cui abbiamo bisogno per ritornare a trastullarci con la musica.
25/06/2009