A partire dall'inizio del nuovo millennio, il maestro dell'ambient moderna Steve Roach ha vissuto una vera e propria esplosione creativa che l'ha portato a produrre in media 3-4 album all'anno, nei quali si è sempre dimostrato capace di evolvere la sua formula nelle modalità più svariate. La sua produzione si è da allora divisa fra lavori in esplorazione di nuovi modi di concepire il suo universo sonoro, ricalchi – a volte ottimi ed altre meno – delle tematiche già sperimentate, e flirt con l'arte multimediale – sua ultima grande frontiera ben rappresentata dalla magnifica serie delle "Immersions".
Giunto nel 2010, questo "Sigh Of Ages" si pone in contraddizione totale con quanto detto poco sopra: la sua ricetta non è certo nuova, eppure il suo stile lo rende in grado di non assomigliare a nessuno dei suoi predecessori. Al suo interno vi troviamo il più canonico dei linguaggi elettro-ambientali - quello stesso che Roach aveva avviato in album come “Structures From Silence” e “World's Edge” - affrontato però da una prospettiva del tutto inedita.
Il soundscape è dominato da arpeggi melodici, sui quali s'inseriscono flussi lievi ed acuti: non c'è spazio per la classica magniloquenza del californiano, né per le complesse architetture sintetiche divenute trademark della scena a lui affine. Così “Quelling Place” sembra provenire direttamente dai lavori sperimentali della coppia Jansen/Barbieri, “The View From Here” offre un salto temporale enorme, ripercorrendo i sentieri minimalisti di “Traveler” ed “Empetus”, mentre “Return Of The Majestic” flirta con strutture elettro-esotiche ricordando da vicino Michael Amerlan e il suo “Ascendences”. Nel quarto d'ora di “Sentient Breath” un flusso rarefatto di droni gelidi ricoprono e divorano il sostrato melodico, che se ne libera mostrandosi nella sua purezza nella successiva “Morning Of Ages”, prima di abbandonarsi a rifrazioni e ipnosi nella conclusiva “Longing To Be...”.
“Sigh Of Ages” è un disco del tutto estraneo – per struttura dei brani e stile – alle produzioni del Roach degli anni 2000. E' un caleidoscopio retro', che cammina su quelle strade tralasciate in precedenza dal musicista e che colma un vuoto (di cui probabilmente non ci si sarebbe accorti) con un tasso qualitativo altissimo. E' la riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che la ricerca di Roach – nonostante le “batoste” subite negli ultimi anni dalla critica non settoriale – prosegue imperterrita, pronta a regalare ancora gioielli di suggestione a chi gli dedichi attenzioni senza lasciarsi fuorviare dai pregiudizi.
07/09/2012