Pare che il punto di non ritorno della parabola degli Rem sia arrivato durante quello che verrà ricordato come l'ultimo tour della loro storia, nell'estate del 2008. I tre membri reduci di una delle band più significative della storia del rock, quella che più di ogni altra ha tenuto a galla un certo modo di fare e di pensare il rock quando una trentina di anni fa pareva che tutto fosse destinato a finire nel tritacarne del sintetico e dei lustrini, erano caduti e s'erano rialzati, e guardandosi in faccia si dissero che probabilmente non c'era più molto altro da dire. La caduta era roba ancora tutto sommato recente: "Around The Sun", disco incompiuto, maltrattato dalla critica, poco amato dai fan, un disco che non aveva mai convinto fino in fondo neanche loro. Poi c'era stato "Accelerate", colpo di coda e di classe, ritorno alle origini ispirato ed energico, e quindi quel tour, il migliore da molto tempo a quella parte.
Poco più di tre anni fa si sono ritrovati a guardarsi in faccia, Stipe, Mills e Buck, e hanno pensato tutti più o meno la stessa cosa. Facciamo quest'ultimo disco con la Warner, e poi giù il sipario. E così, una manciata di mesi dopo "Collapse Into Now", quel piccolo compendio delle tante maschere che hanno saputo indossare nella loro lunga carriera, capitolo finale degno e non privo di qualche indiscutibile pezzo di bravura, ecco l'annuncio: gli Rem non sono più una band. Poi per congedarsi hanno messo insieme il loro greatest hits definitivo, con un titolo fantastico, "Part Lies, Part Heart, Part Truth, Part Garbage", e tre inediti ad aggiungersi a trentasette canzoni pescate tra le oltre duecento pubblicate dal 1982 a oggi.
Naturalmente non sono i tre inediti a dare un senso a questa raccolta, anche se quello scelto come singolo di lancio, "We All Go Back To Where We Belong", con i suoi fiati che sembrano messi lì da un capriccio di Burt Bacharach e la sua aria malinconica, tutto sommato fa la sua bella figura come canto d'addio, elegante, passatista e discreto. "A Month Of Saturdays", che lo precede in scaletta, a sentire Mills è nata come una sorta di omaggio ai Pylon, mentre "Hallelujah", che chiude i giochi, è una bella ballata molto remiana con quel basso che gira su se stesso, qualche arco e un ritornello che si fonda tutto sui saliscendi senza parole della voce di Stipe.
C'è il divertimento di stare a vedere quali sono i pezzi che la band georgiana ha scelto per comporre la rappresentazione più compiuta di sé, naturalmente, e ognuno di noi, come sempre in questi casi, non potrà che ritrovarsi a fare il confronto: questa l'avrei messa anch'io, questa no, quella non c'è, e non c'è - possibile? - nemmeno quella. In generale, al di là di tutto, emerge qualche dato chiaro. Dei cinque album compresi tra "Monster" (1994) e "Around The Sun" (2004), fatta eccezione per "New Adventures In Hi-Fi" (1996), i ragazzi hanno voluto includere solo un pezzo ciascuno, mentre i più evocati sono "Green" (1988) e "Automatic For The People" (1992), con quattro brani a testa, e pure "Collapse Into Now" non ne esce così male, con i suoi tre. Qualcosa dovrà pur dire. Tra le canzoni non comprese nei quindici Lp di inediti trovano spazio "The Great Beyond" e "Bad Day", e in generale non ce n'è nessuna che proprio non ci saremmo aspettati, tranne forse la scapicollata "Life And How To Live It", tratta da "Fables Of The Reconstruction" (1985), mai considerata una hit né nulla di simile.
In assoluto, comunque, il vero valore aggiunto di "Part Lies, Part Heart, Part Truth, Part Garbage" sta con ogni probabilità non tanto nella musica quanto nelle parole che mette insieme, nelle note che hanno scritto per ogni canzone, di proprio pugno, tutti e quattro i membri originari della band, Bill Berry compreso. Nessuna parafrasi, naturalmente, ma piccoli aneddoti e chiarimenti che per i fan degli Rem risulteranno preziosissimi, tanto quanto la messe di interviste che Stipe e Mills, mentre Buck è in tour per l'America con i suoi John Wesley Harding, hanno rilasciato nelle ultime settimane per promuovere il disco e mettere il sigillo sulla loro storia comune. Date un'occhiata in giro per la rete, partite dal loro quartier generale web e godetevi i loro racconti e le loro confidenze fatte un po' a chiunque - noi vi consigliamo il pezzo su Paste e quello su The Quietus. Molta roba interessante, anche se il prezzo da pagare - non c'è che dire - è stato piuttosto alto.
E così, come se ce ne fosse bisogno, questo greatest hits ci ricorda che d'ora in poi dovremo fare a meno degli Rem. E al di là dell'eleganza della loro uscita di scena e del riconoscimento di quanto, tutto sommato, quest'uscita di scena potesse essere considerata addirittura opportuna, un po' di magone, a molti di noi, rimarrà per un bel po'. Ed è già chiaro cosa non potremo evitare di fare. Staremo dietro a Buck e alle sue mille collaborazioni, ovviamente, seguiremo Mills tra i suoi tributi ai Big Star e i suoi progetti solisti, e cercheremo di capire se quel cinquantenne eccentrico e barbuto che Michael Stipe è diventato avrà la voglia di sottrarre un po' del suo tempo alle sue fotografie e alle sue sculture e alla sua invidiabile vita da intellettuale newyorkese per farci sentire ancora quella voce che un qualche dio benevolo un giorno ha deciso chissà perché di mettergli in gola, perché la adoperasse nel modo sbalorditivo in cui è riuscito ad adoperarla in questi trent'anni passati a incidere i nostri nervi e le nostre carni cantando alcune delle canzoni più grandiose che ci sia mai capitato di ascoltare.
27/11/2011
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