Avvicinarsi a un nuovo lavoro degli Rem non è mai cosa semplice. Non è possibile, infatti, ascoltare le nuove fatiche dei tre di Athens imponendo a orecchie e cervello di liberarsi dalle sovrastrutture che il loro lunghissimo curriculum, inevitabilmente, impone. Michael Stipe e soci, del resto, sono una delle più conosciute e seguite band del pianeta e l'atteggiamento degli appassionati di musica nei loro confronti si è stratificato e consolidato nel tempo: da sempre c'è chi ha intensamente amato la prima parte della loro carriera (fino a "Document" o al massimo a "Green"), corrispondente grosso modo al loro periodo "indipendente", guardando con sfavore o disinteresse il loro periodo successivo e chi invece li ha scoperti e apprezzati maggiormente quando il loro suono si è fatto più mainstream e anche le radio commerciali e Mtv si sono accorti di loro, senza sentire il bisogno di andare a ripescare nel passato della band.
C'è poi chi crede - e non sono pochi - di conoscere gli Rem solo per averne sentito qualche hit distrattamente, e solo sulla base di questi ascolti fortuiti pensa di avere la propria idea su una band dalla discografia estesa e complessa.
È tutto questo (e altro ancora) che deve essere preso in considerazione da chiunque voglia approcciarsi a "Collapse Into Now", giunto a tre anni dal precedente "Accelerate", che con il suo ritorno al vigore rock dei primi lavori era apparso un segnale positivo sullo stato di salute della band (benché si debba ammettere, a distanza di tempo, che i risultati siano piuttosto effimeri).
La doppietta iniziale "Discoverer"-"All The Best" è una botta energica e asciutta, con pochi fronzoli ma anche con poca inventiva: presenta un sound che potrebbe essere diretto discendente di "Monster" o di "New Adventures In Hi-Fi" e parrebbe inaugurare il secondo album rock'n'roll di fila, sebbene meno scanzonato. I ritmi, però, rallentano bruscamente e "Collapse Into Now" si rivela decisamente più meditativo del suo predecessore, col singolo "ÜBerlin" che spicca per la sua bontà melodica intrisa di spleen e con le sue delicatezze acustiche rinvigorite dall'elettronica soffusa tipica delle loro ultime produzioni.
L'impressione, tuttavia, è che l'album non abbia una propria identità ben precisa e l'ascolto dei brani successivi ne è una conferma: canzoni piacevoli ma inconsistenti che, con i loro arrangiamenti bucolici e lo smodato uso di strumenti acustici, non riescono ad apportare qualche interessante novità e, tantomeno, a regalare le penetranti suggestioni delle ballate folk di un tempo.
Ci pensa lo scoppiettante e divertito uno-due composto da "Alligator Aviator Autopilot Antimatter" (sorprendentemente buono e fresco l'impasto vocale Stipe-Peaches, anche se, senza dubbio, i fan della prima ora storceranno il naso) e dalla brevissima "To Someone Is You" (che, di nuovo, rimanda ai pezzi più veloci di inizio carriera) a far ripartire i ritmi, ma il risultato è persino più giovanilistico di quanto proposto in "Accelerate". Quasi che i componenti della band, superati ormai i cinquanta, pensassero alle chitarre elettriche come a una sorta di viagra musicale cui non si possa prescindere per poter essere considerati ancora delle rockstar.
La chiusura è dedicata, in maniera un po' scontata (e miope), a due ballate che smorzano nuovamente i toni e contribuiscono a sbilanciare ulteriormente la scaletta. Prima la languida (e soporifera) "Me, Marlon Brando, Marlon Brando And I" che, seppur da buone premesse, non decolla mai, e per finire quello che sulla carta doveva essere uno dei pezzi forti dell'intero lavoro: la seconda collaborazione con la musa Patti Smith. Purtroppo in questo caso la sacerdotessa del rock aggiunge poco pathos e nessun brivido a "Blue", ballad ricalcata in maniera quasi imbarazzante sulla prima collaborazione per "E-Bow The Letter": un effluvio di e-bow, il distorto recitato di Stipe e la percezione di dejà-vu si fa piuttosto marcata.
La sensazione è che questo nuovo album potrebbe essere considerato una sorta di greatest hits delle atmosfere tipiche degli Rem, dagli esordi sino ad "Around The Sun" passando per "Out Of Time". Come si diceva, però, benché le atmosfere siano quelle di sempre, qui mancano melodie davvero memorabili per supportare un'operazione così rischiosa: i refrain di "Oh My Heart" (peccato non aver sfruttato meglio gli spunti "New Orleans" in apertura del brano), "It Happened Today" (con un inutile, quanto timido, cammeo vocale di Eddie Vedder sul finale), "Every Day Is Yours To Win", "Walk It Back", sceverati dei loro orpelli, risultano poco articolati, costruiti su un'unica frase ripetuta più volte (il titolo) o sui classici vocalizzi di Stipe accompagnati dagli (ancor più classici) controcanti di Mills ad armonizzare il tutto. Tutti brani, insomma, tenuti in piedi grazie agli arrangiamenti certosini e al buon mestiere dei musicisti e del produttore (Jacknife Lee anche questa volta).
E se con gli ascolti il risultato complessivo sembra crescere lo si deve principalmente a un effetto di assuefazione dovuto al gioco dei rimandi che rende i nuovi brani, seppur "insipidi", immediatamente familiari ("Mine Smells Like Honey", per esempio, potrebbe sembrare il più riuscito del lotto a chi amasse album quali "Life's Rich Pageant") .
"Collapse Into Now" finisce così per essere un album piuttosto trascurabile nella lunga carriera discografica degli Rem, costellata di lavori di assoluto valore e di straordinari successi commerciali, e fa pensare - senza nulla togliere al grande mestiere e alla classe dimostrata anche tra queste note - che ormai per i tre di Athens la musica rock sia diventata, appunto, una mera attività lavorativa da svolgere con diligenza, perizia e applicazione, ma senza più alcuna passione. E tale constatazione non può che deludere il fan più intransigente, ma non soddisferà neanche il seguace più indulgente e avvezzo al perdono.
07/03/2011