Che James Blake sia la punta di diamante di quel fenomeno battezzato dai più come soul-step, è cosa ormai ben nota a tutti. L'attesa per il suo secondo Lp è stata davvero tanta, senza nascondere una certa preoccupazione scaturita dalle poco convincenti prestazioni mostrate nell’Ep “Enough Thunder”, le quali lasciavano presagire un notevole declino a pochi mesi dallo splendido omonimo esordio. “Overgrown” si presenta dunque come il classico secondo disco di un giovanissimo talento, promosso con ampi voti già alla prima uscita e a cui ora tutti chiedono conferma. La prova del nove di un musicista capace di spiazzare la platea con pochi eleganti ingredienti e di posizionarsi in un colpo solo nell’Olimpo delle “cose nuove” provenienti dal Regno Unito.
A un primo impatto, resta solo parzialmente immutata l'urgenza espressiva di trascinare la melodia nei meandri di un'intimità soul a tratti "evangelica", mentre sullo sfondo un’elettronica ridotta all’osso in più di un’occasione (“I Am A Sold”, la hegartyana “DLM”) occupa gli spazi mediante un synth scarno ed efficace. Parimenti, la sezione ritmica sposa, seppur lievemente, impalcature proprie del dubsteb di matrice Hyperdub. Scendendo più a fondo nell’opera del giovane electro-writer inglese, troviamo d’un tratto (e un po' a sorpresa) anche nuove pulsazioni o insospettabili derive sintetiche, in alcuni casi prossime al suono targato 50 Weapons (!), come accade ad esempio negli improvvisi cambi di ritmo di “Digital Lion” e “Voyeur”, le due tracce che evidenziano maggiormente le coordinate del nuovo cammino intrapreso da Blake.
Ma come già accennato poco sopra, “Overgrown” riesce a riprende a dovere l’isolazionismo electro-soul dell’esordio, con Blake che canta adagiandosi fin troppo spesso su sentieri vellutati, magicamente supportato dal synth tra incantevoli giochi di luce e repentine ombre, in un incastro di leggiadri stop&go; è il caso della stessa title track o dell’emozionante ascesa melodica di “To The Last”, in cui prende forma un’implorazione vocale degna del miglior Jamie Woon.
Al centro del piatto giace la perla del disco. L’avvenuta fioritura del nostro. “Retrograde” cancella ogni dubbio e solleva le emozioni dal suolo, proiettandole pian pianino verso l’alto in un crescendo epico e passionale, con la tastiera che pare essere suonata direttamente da un angelo caduto dal cielo. E non è un caso che tale meraviglia sia il primo singolo ufficiale del lotto. Non rimane che evidenziare in penombra solo l’impalpabile ballad “Take A Fall For Me”, collaborazione parzialmente riuscita con Robert Diggs, aka RZA, da cui è possibile evincere un’improbabile fusione tra l’hip hop di natura mainstream e l’introversa andatura in vaga scia dubstep palesata da Blake. Tuttavia, quest’ultima resta comunque l’unica e piccola “macchia” di una tela clamorosamente candida, sulla quale James Blake è riuscito a sfogare le proprie passioni, il proprio impeto con la consueta riservatezza, in una danza appena abbozzata di morbide sfumature soul e ricami elettronici decisamente ispirati.
01/04/2013