Una parte dell'anima di Steve Roach risiede a Berlino. Sembra incredibile a dirsi, dando uno sguardo ai più importanti fra gli innumerevoli prodotti della sua discografia: ma basterebbe tornare indietro, a tutto ciò che precedette “Structures From Silence” per scoprire che il maestro, come molti conterranei del suo periodo o di poco successivi (da Robert Rich al compianto A Produce, passando per Sam Rosenthal e Michael Stearns) gettano le loro origini sonore proprio nella scuola di Berlino dei Tangerine Dream e di Klaus Schulze. Un mondo da cui Roach si è allontanato conducendo il suo percorso di ricerca altrove, ma il cui elemento principale – il cosmo, appunto – ha continuato a rimanere uno dei capisaldi tematici dei suoi lavori.
Capita che, ogni tanto, a Steve torni in corpo la voglia di riprendere in mano le tessiture sonore elettro-minimaliste che segnarono proprio i suoi esordi: giochi di sequencer, inchini all'analogico, intrecci di sinewaves in rotazione e un certo gusto per il modernariato sonoro. Era successo l'ultima volta quattro anni fa, con l'inatteso e spiazzante “Sigh Of Ages”, pubblicato proprio nel bel mezzo di una fase di transizione – quella che avrebbe condotto dal periodo dominato dalle “Immersions” alla fase attuale, composta principalmente di variazioni sui temi tradizionali dell'ambient spaziale, della tribal-trance e del drone. Torna a succedere in “Spiral Meditations”, disco dalla cui presentazione era semmai lecito attendersi un secondo ammiccamento new age dopo quello del trascurabile “Rasa Dance”.
Si tratta invece di un flusso diviso in sette parti, ciascuna fusa nell'altra come a formare un vero e proprio enigma spiralico, dove la necessaria costruzione del concept finisce per prevalere sull'atmosfera e per minare la spontaneità del tutto. Il titolo non è chiaramente scelto a caso e l'intero magma sonoro sembra voler procedere proprio in una direzione votata all'ipnosi: “Consumed By Sunlight” fa trionfare un luccicare di stelle sulla più classica base da cielo notturno, prima che “Sand Painting” omaggi in maniera palese lo Schulze dei tempi moderni, seguito nella missione dalla liquida “Helix”. Fin qui si tratta di fatto di un maxi-omaggio alla Germania cosmica, preso però da una strada fatta di giochi di luci piuttosto che dalla gelida desolazione della vecchia scuola a cui il tutto si ispira senza nascondersi.
Altrove, il contatto cercato e trovato è fra quei patch sonori e le cavalcate ritmico-melodiche coniate da Roach nell'ultimo update della sua ambient-trance: la pulsazione vorace della title track corre al triplo della velocità di “Light Fantastic”, e la sua scia di vapore e vento prende la forma di “The Feeling Expands”, per poi spegnersi in un'intermittenza che ricorda da vicino il Robert Rich di “Numena” in "Sustained In Soul Light". A porsi da contraltare a tutto questo scintillare sono i venti minuti della seconda parte della title track, di fatto un'evoluzione di droni che sembra preannunciare un'esplosione rimandata fino al passaggio al brano successivo. Il tutto al centro di un lavoro che non può che ricoprire un ruolo minore all'interno di una produzione vasta e ricca di perle come quella del musicista californiano, seppur distinguendosi come un tentativo di fuoriuscire dagli abituali cliché ambientali.
04/02/2014