Finn Andrews, figlio del tastierista degli Xtc, non si è di certo risparmiato nel processo compositivo, realizzando un centinaio di canzoni, dalle quali sono state poi selezionate le dieci che compongono il disco, anche grazie all'apporto di Nick Launay (produttore fra gli altri di Nick Cave & The Bad Seeds e Yeah Yeah Yeahs) e Adam Greenspan, alla quale è stata affidata la produzione dell'album, mentre Bill Price (Clash, Jesus & Mary Chain) si è occupato del missaggio.
Lo sferzante organo elettrico di Rapisardi introduce il brano che apre il disco, la cavalcata "Through The Deep, Dark Wood", primo singolo estratto e probabilmente miglior brano del lotto.
Specialmente nella prima parte, i Veils riescono, partendo già dalla copertina del disco, a creare un immaginario cinematografico che molto rimanda ai classici western e al loro reprise tarantiniano. Brani come "Dancing With The Tornado" e la ballata blues "Candy Apple Red" sembrano scritti appositamente per accompagnare immagini di praterie desolate e anime solitare sul grande schermo, con il tremolo delle chitarre pronto a sostenere le scene. Proprio le ballate, che nel disco precedente costituivano la parte più debole, si prendono la loro rivincita, grazie a episodi come la già citata "Candy Apple Red" o l'ondeggiante "The Pearl", batteria costantemente mid-tempo e una lussureggiante chitarra a sorreggere la graffiante voce di Andrews, mentre declama le virtù della perla "19enne in blue jeans". Anche l'amore, con il tamburello di "Sign Of Your Love" a scandirne l'incedere, è cantato con la malinconica decadenza, con il garbo con cui ci si rivolgerebbe alla Cardinale di "C'era una volta il West".
Nonostante un paio di passaggi a vuoto ("Birds", "Another Night On Earth"), dentro "Time Stay, We Go" possiamo scorgere una certa presa di coscienza del compositore neozelandese rispetto ai suoi trascorsi artistici, l'invito a non guardarsi più indietro ("we know there's no turning back", canta in "Train With No Name") e proseguire oltre; sia chiaro che non parliamo di rinnegamento, ma solo della voglia di proseguire con convinzione un percorso intrapreso anni addietro. A dieci anni circa dall'esordio, infatti, Andrews, ritrovatosi nel pieno della propria maturità artistica e dopo i numerosi cambi di line-up, azzecca finalmente la formula che gli permette di realizzare il miglior disco della sua carriera. E forse, di scrollarsi di dosso una volta per tutte l'etichetta di "sottovalutato".
(26/04/2013)