E proprio quando pensi di essere arrivato a un approdo sicuro, ecco che la vita di mette ti fronte ancora una volta al tuo niente. Un istante, una frenata improvvisa e ti ritrovi costretto a mendicare tutto quello che fino a un attimo prima sembrava scontato.
Dopo aver collezionato abbastanza traversie da riempirci un canzoniere intero, Micah P. Hinson sembrava aver messo finalmente la parola fine alle sue disavventure: le ferite del cuore curate da un amore appassionato, le ambizioni artistiche assecondate da una musa sempre più prolifica. Ma è bastato un incidente stradale per rimettere tutto in discussione.
Nell’estate del 2011, il van del songwriter americano finisce ribaltato lungo il ciglio della strada per Barcellona: “ero intrappolato come un animale, temendo per la mia vita ogni secondo che passava”. Poi i soccorsi, l’ospedale e una terribile scoperta: le braccia non si muovono, restano come senza vita.
È così che Hinson si trova faccia a faccia con il nulla: lunghi mesi senza sapere se potrà tornare ad avere una vita normale, se potrà ancora prendere in mano una chitarra, se potrà portare a termine le registrazioni lasciate a metà prima dell’incidente. La strada lenta e faticosa del recupero diventa la strada per una sofferta riconquista di sé.
Anche quando si ritrova scaricato dalla sua storica label, la Full Time Hobby, Hinson non si dà per vinto. E, appena le condizioni fisiche glielo consentono, torna in studio a Santander, di nuovo in Spagna, per realizzare in un paio di giorni un nuovo disco, stavolta per l’etichetta francese Talitres.
Il titolo, “The Nothing”, riecheggia quello di una delle sue prime canzoni. Ma è impossibile non leggerci il segno della lotta affrontata per strappare il proprio volto dalla morsa del nulla. La scelta di registrare tutto in presa diretta, poi, restituisce alla musica del trentatreenne texano quella schiettezza che mancava al precedente “The Pioneer Saboteurs”, facendone uno dei suoi lavori più asciutti e diretti di sempre. L’album del suo ritorno a casa.
Non è un caso, allora, che il brano scelto per fare da anteprima al disco si intitoli proprio “On The Way Home (To Abilene)”: è l’emblema di un disco in cui Hinson sembra pronto a riconciliarsi fino in fondo con le proprie radici. “Da Abilene ho ricevuto il senso della bellezza e della lotta, la forza d’animo e le droghe”, racconta Hinson con un sorriso amaro. Ma l’angolo del Texas dove è cresciuto non è più solo un luogo da cui fuggire: ora ha il calore di un abbraccio che aspetta alla fine del cammino.
Ecco allora le memorie familiari di casa Hinson vestirsi di steel guitar per saltare a bordo della locomotiva di Johnny Cash in “The Life, Living, Death And Dying Of One Certain And Peculiar L.J. Nichols”. Gli accenti country, del resto, sono una costante che percorre un po’ tutto il disco, dal banjo svelto di “There’s Only One Name” al contrabbasso da orchestrina di campagna di “Love, Wait For Me”. E “The Same Old Shit” invita M. Ward e Conor Oberst a cavalcare fianco a fianco, caracollando verso la linea dell’orizzonte. Ancora una volta, il segno tangibile di una voce che non ha più paura di dichiarare l’appartenenza alla propria terra.
Anche quando tocca le corde più intime, come in “I Ain’t Movin’” e “The One To Save You Now”, Hinson preferisce l’essenzialità del pianoforte alle orchestrazioni dei precedenti lavori, andando a lambire solo in “The Quill” il lirismo di “The Red Empire Orchestra”.
Meglio non lasciarsi trarre in inganno, insomma, dallo sferragliare punk un po’ sgangherato dell’iniziale “How Are You Just A Dream?”: la stoffa di “The Nothing” è tutt’altra, e il brano d’apertura dell’album suona più che altro come lo sfogo di un impeto trattenuto troppo a lungo. Suonano fuori posto anche gli ammiccamenti indie di “Sons Of The USSR”, che hanno poco da spartire con il cuore di “The Nothing”: Hinson la definisce la sua prima canzone di “folk giornalistico”, ma il tentativo resta in bilico sul crinale della retorica.
Un senso palpitante del destino è piuttosto la vera costante delle canzoni di Hinson, ora con i toni accorati della dichiarazione d’amore di “There's Only One Name”, ora con quelli minacciosi del crescendo da chain gang della traccia fantasma “The Crosshairs”. Sacro e profano diventano un tutt’uno sul folk-gospel di “God Is Good”, mentre Micah si ritrova tra le mani il “buon libro” dei suoi padri: “The rivers they keep on moving/ And the homeless they keep on looking/ And my good book says that God is good”. Ha ragione la sua anima texana: il vuoto lasciato dalla donna che ti ha rubato il cuore è lo stesso vuoto lasciato dalla mancanza di Dio. Il bisogno di qualcosa che duri per sempre, proprio come lo scorrere dei fiumi.
07/03/2014