Amici di lunga data, i due hanno deciso di unire le proprie anime artistiche dopo anni di progetti e idee, fino ad oggi sempre puntualmente rimandati a date da destinarsi e mai effettivamente concretizzatisi.
A conseguirne è dunque “The Long Night”, un'opera che torna a vertere come prevedibile sull'espressione più classica dell'ambient del maestro di La Mesa, ma in grado all'interno di essa di cercare e trovare punti di contatto con alcuni degli universi confinanti. Capita così che a solcare un reticolo fisso di droni oscuri tanto da lambire in alcune occasioni il puro dark-ambient vi siano a turno le pulsioni viscerali coniate al fianco di Byron Metcalf, sfumature di sinewaves e i più classici flussi astrali divenuti ormai marchio di fabbrica della sua miscela. Una contaminazione già propria di gran parte delle ultime opere dell'artista, impegnato da qualche anno a questa parte in una conciliazione fra la moltitudine delle sue anime sonore.
Il risultato è un magniloquente inno alla notte, esplorata in tutte le sue facce e da punti di osservazione situati in luoghi e ambienti diversi, dalla foresta artica riprodotta in copertina a boschi tropicali, passando per distese desertiche e vaste praterie. Anche il cielo stesso viene dipinto con volti diversi: scuro e privo di qualsiasi luce nell'avvolgente “Last Light”, solcato da nuvole alte e fitte nella prima metà di “Calm World”, pronte poi a dissiparsi rapidamente nella seconda per lasciare spazio a estese costellazioni. Nei battiti sotterranei di “The Deep Hours” queste sembrano prendere vita e dare il via a una sorta di danza primordiale, per poi fermarsi di colpo e lasciare spazio al passaggio simultaneo di più comete nel conclusivo quarto d'ora della title track.
L'abilità con cui questi mostri sacri da tre dischi di inediti all'anno (Roach) o dal tardivo quanto meritato arrivo nell'Olimpo (David) si dimostrino in grado di musicare immagini e suggestioni è dato tutt'altro che sorprendente. Ciò che continua a stupire ancor oggi è la capacità di rendere tutto questo per mezzo di un linguaggio talmente inconfondibile e personale da aver trovato nella variazione sul tema l'unica possibile via di sviluppo.
Evoluzione che nonostante questo continua a non mancare, a presentarsi ciclicamente, sebbene sotto forma di un processo graduale, imperniato più su cambi atmosferici e combinazioni stilistiche che su autentici sviluppi sonori. Una musica che trova nel legame dialogico con l'ambiente una fonte di linfa vitale che sembra sempre più lontana dal potersi esaurire.
(22/01/2014)