Siamo oggi al quarto capitolo congiunto dei due – quinto se si conta anche “Errata”, dove lo statunitense aveva coinvolto anche lo storico amico e collaboratore Dwight Ashley, e la situazione è decisamente cambiata. Story è da poco ritornato dopo ben sei anni di silenzio, affiancato (paradossalmente) dall'altro Cluster Dieter Moebius, con un disco in cui il suo tocco “storico” è pressoché assente, mentre Roedelius ha proseguito nel dividersi fra gli ambiti più disparati (dalle ristampe con Bureau B a collaborazioni, fra gli altri, con Lloyd Cole, Christoper Chaplin e Nicola Alesini). “Lazy Arc” è fondamentalmente il disco che ristabilisce gli equilibri, e lo fa all'insegna di un curioso e imprevisto ritorno al passato.
C'è un po' del Roedelius intimista dei “Selbsportrait”, un po' di quello classicheggiante dei dischi per piano solo, e un po' del Tim Story più cupo e sofferente apprezzato su “Shadowplay”. C'è l'influenza palese della coppia Eno/Budd e soprattutto di quest'ultimo, specialmente nei passaggi più riflessivi, che coincidono in gran parte anche con i momenti più intensi. È il caso della magistrale sonata in due metà del primo movimento, della serenata per pianoforte del terzo e della chiusura sognante del settimo. Si inserisce nella medesima atmosfera anche la parentesi sintetica del quarto movimento, dove Roedelius torna a giocare, seppur magistralmente, con gli inconfondibili suoni di un Moog.
C'è poi il secondo volto di “Lazy Arc”, quello che non dimentica la matrice espressionista dell'eredità kraut: di quest'ultimo fanno parte i momenti più arcigni e meno evocativi del disco, nonché per assurdo i più vicini al passato collaborativo fra i due. Le oscure deviazioni del secondo movimento, i flussi scoloriti del quinto e il quarto d'ora di onde, disturbi e tape loop del sesto sono infatti a un passo da quel “The Persistence Of Memory” che, nel 2000 aveva inaugurato il sodalizio. Nessuna traccia, invece, di quelle alienazioni jazz che Ashley aveva portato in eredità in “Errata” quanto nel precedente “Islandish”, sommerse da un lusso elettronico che continua a mantenere standard elevatissimi.
(11/10/2014)