Nell'ampia, quasi sovrabbondante ondata di nuove muse del cantautorato “dark”, Anna von Hausswolff sembra per certi versi essere la più nostalgica: nei suoi tre album, l'artista svedese ha cercato di imporre l'organo a canne come lo strumento principe di questo scuro revival neoclassico, recuperando con esso le atmosfere sacrali degli ultimi baluardi gothic anni 80-90; dunque uno stile e un'attitudine, i suoi, decisamente all'antica rispetto a comprimarie quali Mamiffer (che pure aveva colto uno spunto analogo), Soap&Skin, Julia Holter e Zola Jesus – queste ultime attualmente in territori opposti alle loro origini artistiche.
Già col precedente “Ceremony” (2013) l'opus della cantante si circondava di un'aura di solennità tanto a parole quanto a imponenza sonora, e che con “The Miraculous” si avvicina ancor di più al proprio compimento. Come in una funzione religiosa, gli umbratili movimenti sono spesso introdotti da antifone per solo organo, di evidente ascendenza minimalista e sorrette dal basso continuo dei pedali. Non particolarmente dotata dal punto di vista canoro, Anna possiede comunque un timbro distintivo, idealmente a mezza via tra Geneviève Beaulieu e la Susanne Sundfør di “The Brothel”.
Alla sua prominenza si accodano poi le chitarre doom di Joel Fabiansson e Karl Vento e la batteria di Ulrik Ording, dando forma e alternando tragiche ballate perfettamente conchiuse (“Pomperipossa”, “Evocation”) e spunti e intermezzi più isolati, abbandonati a se stessi senza condurli a sviluppi di ugual rilevanza (“The Hope Only Of Empty Men”, “An Oath”).
Ma il maggior traguardo di maturità stilistica, nonché indiscutibile fulcro espressivo, è situato nel crescendo bipartito di “Come Wander With Me/Deliverance”, un monumento funebre d'intensità irripetibile dove Anna offre anche una notevole prova canora, totalmente rapita dall'addensamento di un bordone sempre più sovrastante; nella seconda sezione saranno di nuovo lo stoner sincopato delle chitarre e l'incedere marziale della batteria a frammentare il monolite acustico, virando l'apice drammatico su traiettorie più attuali e risapute, ma nondimeno efficaci.
Parimenti longeva, la title track non ha invece una così forte caratterizzazione, assestata com'è sull'insistente basso dell'organo, attraversato da vocalizzi evanescenti che si dileguano al manifestarsi di una minacciosa dissonanza ligetiana che (non) risolve il brano.
Giunge decisamente inatteso il finale di matrice neofolk “Stranger” – con tanto di chitarra acustica e vibranti rintocchi in lontananza – ultimo di una serie di “esperimenti” d'espressione che se da un lato rendono meno impegnativo l'ascolto, dall'altro sminuiscono i notevoli risultati raggiunti nelle tracce più elaborate.
Una volta che punterà tutto sulle peculiarità del proprio stile, probabilmente Anna von Hausswolff si rivelerà essere la giovane promessa più convincente e rappresentativa del suo ambito.
15/11/2015