Essere se stessi: facile a dirsi. A volte non basta una vita intera. Un tentativo dopo l'altro per cercare di riflettere la propria anima nello specchio: i libri che leggi, la musica che ascolti, il taglio di capelli. Appartenere a qualcosa che dica chi sei. I sociologi la chiamano subcultura, che di solito va a braccetto con giovanile. Ma la ricerca della propria identità non è qualcosa che dura solo fino a quando si è giovani.
Per John Darnielle, la linea d'ombra dell'adolescenza è coincisa con la sua fase goth: un dark, diremmo noi. Capelli tinti di nero, occhiali da sole, eyeliner, jeans scuri e camicia bianca con il colletto rigorosamente abbottonato. "Il mio motto era sembrare un becchino. Vestirsi come se lavorassi in un'agenzia funebre, solo in maniera un po' più estrema". E proprio all'importanza di essere (stati) dark, i Mountain Goats hanno deciso di dedicare il loro nuovo disco, intitolato emblematicamente "Goths".
Non è un caso che si parli proprio di identità, nell'album più distante dalla classica fisionomia musicale dei Mountain Goats. "No comped vocals. No pitch correction. No guitars", annunciano enfaticamente le liner notes del disco. Per la prima volta, insomma, Darnielle rinuncia del tutto a quella chitarra che, nella gloriosa era a bassa fedeltà, era stata la sua unica compagna di avventura. "Quando sono alla chitarra, la mia eredità è essenzialmente quella folk", spiega. "Al piano, invece, anche se non sono un grande pianista, il mio approccio è quello del jazz". Se si aggiunge l'ingresso in pianta stabile nel gruppo del polistrumentista Matt Douglas, responsabile degli arrangiamenti dei fiati, "Goths" rappresenta la sfida di un profondo cambiamento per i Mountain Goats (come testimoniano anche le quattro tracce ambient che compaiono nella deluxe edition dell'album). Una metamorfosi che non riesce però a risultare sempre incisiva come in passato.
Il martellare incalzante di "Rain In Soho", accompagnato dalle note scure del piano e dalle voci solenni del Nashville Symphony Chorus, sembra subito evocare i fantasmi wave del Batcave, lo storico tempio londinese dell'estetica goth: "There's a club where you'd like to go/ You could meet someone who's lost like you". Ma non è che un consapevole depistaggio, come rivela subito il flessuoso passo pop di "Andrew Eldritch Is Moving Back To Leeds", con i fiati a distendersi bucolici mentre le tastiere accendono le luci di una giostrina.
"Nel disco c'è più Roberta Flack che non Sisters Of Mercy", conferma sornione Darnielle. Le atmosfere di "Goths" si ricollegano così a quelle di "Transcendental Youth", accentuandone ulteriormente una certa vocazione al cantautorato adult-oriented: un soft-rock punteggiato di Fender Rhodes e incorniciato dai fiati, da qualche parte tra Randy Newman e Donald Fagen. Darnielle si immerge a modo suo nella parte del crooner, rivedendo il se stesso ragazzo intento a sognare l'Inghilterra e Berlino tra le pagine di qualche rivista musicale ("We Do It Different On The West Coast") o ad ascoltare Siouxsie And The Banshees alla radio nella calura della California ("Stench Of The Unburied").
Tra la cavalcata di "Shelved" e le inattese venature soul di "Wear Black" (con la complicità del cantante gospel Robert Bailey), tocca a "Unicorn Tolerance" rendere l'andamento più sostenuto, raccontando l'oscurità pronta a inghiottire gli unicorni dell'infanzia, a sotterrare l'innocenza in una spirale autodistruttiva: "The thing I've been trying to beat to death/ The soft creature that I used to be/ The better animal I used to be".
C'è molta nostalgia, tra le pieghe di "Goths", dai vecchi locali di "Paid In Cocaine" ai vecchi chitarristi di "Rage Of Travers". Soprattutto, c'è il guardare indietro alla ricerca dei resti di quello che si è stati. Come Andrew Eldritch dei Sisters Of Mercy, che Darnielle immagina tornare in treno ai luoghi della sua giovinezza, valigia in mano e zaino militare in spalla, per rendersi conto che in fondo niente è cambiato, che tutti i ragazzi che sognavano Londra hanno finito prima o poi per ritrovarsi di nuovo a Leeds.
Robert Smith se ne sta nella sua villa in Francia, Siouxsie ha già fatto abbastanza hit da riuscire a pagare tutte le bollette: ma l'epopea dark, un po' come la vita, è fatta soprattutto di quelli che non ricorda più nessuno. Proprio sul finale, Darnielle ritrova tutta la sua inconfondibile ironia nel brano migliore del lotto, "Abandoned Flesh". E canta con una leggerezza jazzistica la parabola dei Gene Loves Jezabel, band inglese destinata all'oblio dopo un paio di singoli piazzati in classifica negli anni Ottanta. Elegia dei perdenti, elegia dello splendore nascosto: "You and me and all of us/ Are going to have to find a job/ Because the world will never know or understand/ The suffocated splendor/ Of the once and future goth band".
31/08/2017