Dopo alcune uscite immediatamente precedenti e seguenti la prematura scomparsa siamo ora giunti, a quanto pare, all’ultima colonna sonora realizzata da Jóhann Jóhannsson, premiato e stimatissimo autore della scena neoclassica. Ma se “The Mercy” e “Mary Magdalene” ne riconfermavano la sensibilità e il gusto raffinato, lo score per “Mandy” è la prova incontrovertibile di una curiosità e di un eclettismo ancora in divenire, assecondati per mezzo di un’indole sperimentale che pochi suoi comprimari possono vantare.
Le apparenze della seconda regia dell’italo-canadese Panos Cosmatos sono abbastanza fuorvianti: quello che dal trailer e dalle immagini promozionali (con un Nicolas Cage quantomai sopra le righe) si presenta come un possibile nuovo trionfo del kitsch in realtà è già stato salutato dalla stampa come un riuscito incontro tra atmosfere horror/fantasy di stampo vintage e visionarietà contemporanea, sorella dell’estetica pop iper-saturata di Nicolas Winding Refn. Buona parte della riuscita di questo prodotto – decisamente in linea con la “retromania” che negli ultimi anni ha investito con prepotenza anche l’industria cinematografica – è stata imputata proprio allo score di Jóhannsson ora edito da Lakeshore, etichetta statunitense specializzata in soundtrack originali.
Per molti altri autori sarebbe stato facile cadere negli stereotipi della rediviva synth-music, specie sull’onda del successo clamoroso della serie “Stranger Things” con il duo elettronico SURVIVE. Il maestro islandese, invece, prende le mosse dalle perturbazioni sotterranee da lui evocate nello sci-fi “Arrival”, avvolgendo in una tetra e pervasiva coltre dark-ambient la trama di vendetta e mistero di “Mandy”, incentrata sulla caccia di Red a una setta religiosa che, sotto l’effetto di droghe pesanti, ne ha brutalmente ucciso la moglie.
Assistita nella produzione da Randall Dunn, firma stabile al fianco di formazioni estreme come Boris, Earth e Sunn O))), la partitura di Jóhannsson alterna i tappeti di tastiere e i minacciosi soundscape orchestrali alle squassanti incursioni della chitarra distorta di Stephen O’Malley, sacerdote drone-doom per eccellenza (“Sand”, “Temple”, “Burning Church”). Solo uno dei due brani di lancio, “Forging The Beast”, ricalca brevemente le ben note progressioni oscillanti di marca minimalista, mentre “Waste” avanza con passo gravoso su un battito post-industriale che sembra addossarsi tutta l’angoscia e la depravazione morale della vicenda narrata. La conclusiva “Children Of The New Dawn”, a onor del vero, è forse l’unica concessione al più scadente immaginario sonoro ottantiano, mollemente adagiata su una melodia banale e inconsistente, corredata da percussioni elettroniche in primo piano e da uno stoppato di chitarra alla “Eye Of The Tiger” (sic).
Benché la scrittura fosse già ultimata prima della morte, l’assemblaggio finale della colonna sonora è stato condotto dai co-produttori Kreng e Yair Elazar Glotman, due ulteriori garanzie nell’ambito della più opprimente composizione d’atmosfera contemporanea: di certo è anche grazie al loro grado di esperienza se la forma finale di “Mandy” si dimostra così solida anche come album a sé stante, tale da accentuare il rammarico per la perdita di una voce realmente significativa nel panorama della musica per il cinema e non solo.
Nel ricordo del regista: “Jóhann si è spinto oltre, e sospetto sino ai limiti della sua salute mentale, per creare la musica di questo film. Le sue parole e le sue azioni ne hanno fatto più di un ottimo collaboratore, lo hanno reso come un fratello per me”.
19/09/2018