Kanye West

Ye

2018 (Def Jam)
hip-hop

Kanye West è in “crisi” da tempo. La faccenda è apparsa chiara fin dai deliri di onnipotenza che hanno lentamente capovolto la sua personalità, portandolo verso una nuova coscienza, non per questo meno autolesionista e a suo modo bizzarra. Il rapper più celebrato al mondo, o giù di lì, ha trascorso gli ultimi mesi lontano dall’amato star system e dalla cricca che mediamente lo circonda, rinunciando al suo stile di vita a dir poco forsennato. Dopo il ricovero in ospedale, l’abbandono dei social e le foto scottanti che lo ritraevano in condizioni apparentemente pietose, West è tornato come un fulmine a ciel sereno. Ed è bastato un tweet celebrativo di Trump a rimetterlo su tutte le pagine. Una sinergia con il tycoon che ovviamente fa discutere, parimenti non meraviglia chi lo conosce e segue dagli esordi. Già, perché Kanye è fatto così: adora provocare, tirare fuori affermazioni ascoltando esclusivamente la propria pancia, e forse un po’ meno la testa; è dannatamente impulsivo, talvolta scorretto, ma non rinuncia mai alla propria autenticità, al maledetto pensiero del momento, al di là degli effetti collaterali e delle puntuali risatine dei tantissimi altri big solitamente imbevuti fino al midollo di politically correct e appoggi al candidato democratico di turno. Ma questa è un'altra storia.

Per l’occasione, il musicista ha deciso di rifugiarsi nel dimenticato Wyoming e di assemblare i propri pensieri, sparsi come impulsi irregolari, tirando fuori un'opera decisamente autobiografica, spiazzante fin dalla scelta del titolo, “Ye”, con tanto di foto ricordo dei monti innevati che lo hanno accolto. Uno scenario dunque surreale, distante dai panorami spumeggianti con i quali è abituato a convivere, che lo ha praticamente rivitalizzato, portandolo a una continua riflessione sul proprio io, e sul bipolarismo "decantato" a chiare lettere in copertina. Una condizione quindi di estrema solitudine, smentita però dal super-party privato organizzato in occasione della presentazione lampo del disco. Kanye mette sul piatto una serie di digressioni sulla propria esistenza, sul rapporto con la moglie, tirando in ballo preoccupazioni paterne in fin dei conti comprensibili se esternate da una persona comune, ma spiazzanti nel momento in cui a sostenerle è uno degli uomini più ricchi dell’industria discografica mondiale, abituato da sempre a destreggiarsi tra culi e tette.

L’intento resta quello di riconciliarsi con se stesso, e abbandonare una volta per tutte i cattivi pensieri, quelli che lo hanno portato a pensare al suicidio più volte. Una preoccupazione e un sentimento che traspaiono nell’introduttiva "I Thought About Killing You", brano che espone i propri intenti in un dialogo surreale, che si amplia e diventa autodenuncia nella successiva “Yikes”, a sollevare un improvviso disagio dinanzi alle droghe, con tanto di invettiva contro la dipendenza, l'intossicazione da allucinogeni e oppioidi che induce a essere scontrosi con tutto e tutti. Il gancio melodico è di quelli che restano, e l’impatto è di quelli che stendono. Siamo dinanzi al West dei bei tempi: schietto, schizofrenico ma non troppo, conciso e dritto al sodo come mai nelle recenti uscite; a impreziosire il tutto è un beat asciutto con sample dalla magnifica “Kothbiro” dei kenioti Black Savage: una chicca pescata con il lanternino, a evidenziare l’acume che lo caratterizza da sempre. Ben altra tematica è quella affrontata in “All Mine”, con il “dramma” della fedeltà a fungere da volano a impulsi talvolta incontrollabili e metaforizzati da un passo sfibrato, scarno e gigione quanto basta per aizzare gli ospiti di turno: Ty Dolla $ign e Ant Clemons.

Ritroviamo il primo anche in "Wouldn't Leave", stavolta in compagnia di Jeremih e del canadese PARTYNEXTDOOR. Un pezzo dedicato alla moglie Kim, con Kanye nelle vesti dell’amante pentito, reo di aver lasciato dichiarazioni pubbliche pesanti e inopportune circa il loro legame. E’ una ballata neosoul melanconica, dal piglio gospel e ispirata dal folk intimista dell’amico Vernon. I vari sample di “Hey Young World” di Slick Rick e di “Children Get Together” del collettivo The Edwin Hawkins Singers rimarcano il contatto tra l'uomo e la sua parte spirituale, con il supporto di Kid Cudi e Charlie Wilson, due amici con cui Kanye ha collaborato in diverse occasioni. L'intro preso di peso da "Someday" di Shirley Ann Lee ("Some day, some day/ Some day I'll, I wanna wear a starry crown") è il leit-motiv della seguente "Ghost Town", in cui ritorna un certo ottimismo corale, stoppato nel refrain centrale, cantato in modo del tutto scazzato da Cudi, ad anticipare la paternale “Violent Crimes”. Kanye si scopre padre premuroso e finanche bigotto (“Until you have a daughter, that’s what I call karma/ And you pray to god she don’t grow breasts too soon”), e spinge questa sua ingenua preoccupazione su poche note all’organo che delineano un climax da predicatore soul decisamente fuori tempo massimo.

Insomma, “Ye” è un album strampalato, frettoloso, eppure con alcuni momenti esaltanti. Non è di certo il rapper totalizzante e meticoloso del passato, e la produzione quasi “lo-fi” lo conferma. Ma è un West che riesce a essere viscerale, sincero e “bastardo” nonostante tutto. Prendere o lasciare.

21/06/2018

Tracklist

  1. I Thought About Killing You
  2. Yikes 
  3. All Mine 
  4. Wouldn't Leave 
  5. No Mistakes 
  6. Ghost Town
  7. Violent Crimes

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