Credo che l'incubo di molti musicisti contemporanei sia doversi misurare con i propri idoli giovanili, quasi fosse una sfida destinata a diventare un vero tormento. È facile intuire di che pasta siano fatti i sogni di Emanuele Sterbini, protagonista in prima linea del progetto Sterbus, un gruppo che è riuscito a ritagliarsi un posto nell’attuale panorama prog-pop.
Le influenze sono non solo variegate ma soprattutto collocate in epoche diverse, a volte quasi in contrasto (Beatles, King Crimson, Robert Wyatt, Blur, Wilco, Monochrome Set, Elliott Smith e Xtc, tra gli altri). Non a caso gli Sterbus si dichiarano devoti a quei Cardiacs che misero su uno stesso piano, punk e progressive rock, sconvolgendo tutti i teorici delle catalogazioni pre-new-wave.
Con la complicità di Dominique D'Avanzo e la presenza fissa dell'ex-batterista dei Cardiacs, Bob Leith, il musicista romano affronta il progetto più ambizioso e rischioso della sua carriera: un doppio album suddiviso in due capitoli apparentemente diversi, invece complementari ed egualmente stimolanti.
La sorpresa di "Real Estate/Fake Inverno" è la natura non calligrafica delle composizioni: è infatti più una questione d'attitudine a rendere affini le canzoni a molte delle band citate da Sterbini come fonte d'ispirazione.
Con un primo cd più estivo ("Real Estate") e un secondo più intimista ("Fake Inverno"), il doppio album degli Sterbus scorre con naturalezza e qualche piacevole imprevisto, con la presenza di ospiti d'eccezione come Charlie Cawood, pronto a una scorribanda sonora a base di dodici corde e sitar nel brano pop più articolato e bizzarro della raccolta, ovvero quella "Maybe Baby" scelta per il video promozionale.
Nella sezione pop sono ovviamente gli Xtc a far da punto di riferimento creativo, tra un omaggio al fragore elettroacustico di "Dear God" ("In This Grace") e un divertissement che ha lo sprint di "This Is Pop" ("Shine A Light").
In "Real Estate" sono più evidenti sogni e incubi del giovane musicista romano, tra canzoni che non riescono a decidere tra Pavement e Cardiacs ("Prosopopeye"), ballate folk-prog non particolarmente originali ("Home Planet Gone") e docili virate rock'n'roll, infarcite di divagazioni psych-jazz ("Razor Legs").
Più arcane e personali sono le otto tracce di "Fake Inverno", introdotte da un breve brano strumentale ("Adverse Advice MCCCXLVII") dai contorni folk-prog, sottolineati da campane e clavicembalo (quest'ultimo nelle mani di Noel Storey dei The Pocket Gods).
David Sheridon e Debz Joy degli Army Of Moths sono protagonisti di una delle più riuscite e imprevedibili composizioni della band ("(Maybe I'm A) Lioness"), tra scampoli folk, prog e pop che si amalgamano con risultati eccellenti, dando il la a una sequenza ricca di intelligenti refrain, che gli Sterbus diluiscono e modificano con sapienza e buon gusto nella triade più scoppiettante dell'album ("Mate in 4/4", ""Real Estate/Fake Winter" Reel", "Micro New-Wave").
L'epico finale "Trapeze" chiude con un tocco d'intenso lirismo un progetto interessante e abbastanza atipico per il panorama italiano, ma le ambizioni degli Sterbus non sembrano destinate a esaurirsi in questo doppio album: la bonus track "Blackducks On Parade" ribalta tutte le prospettive, virando verso un bizzarro pop-folk dai toni grotteschi, citando finanche i Kinks e promettendo interessanti frutti futuri.
27/02/2019