Sarebbe alquanto facile allestire una sequenza di termini come: lisergico, esoterico, ipnotico, allucinogeno, o utilizzare parole come: Lsd, acid-folk, alterazioni psichiche, per descrivere il primo album solista di Charlie Cawood.
Ma, a dispetto delle premesse, le particolari simmetrie stilistiche di “The Divine Abstract” risultano in parte spiazzanti, scompaginando il potenziale uso indiscriminato del lessico sopra esposto, questo grazie alla personale mistura di psichedelia, neoclassica e world-music del musicista inglese.
Giunto alla notorietà come bassista del gruppo psichedelico Knifeworld, Charlie Cawood ha suonato con i Spiritwo ed è stato anche arrangiatore e collaboratore delle Mediaeval Baebes, oltre che dei Crippled Black Phoenix e dei My Tricksy Spirit, nel frattempo è anche parte del progetto Tonochrome: una band londinese il cui album d’esordio è atteso per il 2018 (all’attivo due interessanti Ep).
Pubblicato dalla Bad Elephant Music, “The Divine Abstract” è il frutto di un percorso artistico, che ha visto il compositore e multi-strumentista approcciare prima la musica classica alla giovane età di 11 anni, per poi approfondire la tradizione musicale indiana, balinese e cinese. L’album ripropone la terminologia progressive-rock nella sua accezione più antica, è infatti la ricca citazione di elementi di musica classica, jazz e folk dei pionieri dell’avanguardia rock inglese, il riferimento primario di questo interessante e originale crossover stilistico.
E’ una musica dal forte impatto trascendentale, quella di Charlie Cawood, ricca di armonie polifoniche e sonorità orientaleggianti, che si sviluppano secondo strutture più affini alla musica colta. L’utilizzo di strumenti come il flauto, il sitar o l’Erhu non è un vezzo da nostalgico hippie, tutto è finalizzato a una spiritualità più moderna e contemplativa. C’è infatti una strana chimica tra gli elementi sonori, come nell’iniziale “Shringara”, che sulle note del sitar incastra percussioni, chitarre e basso senza cadere nella banale contaminazione tra etnica e musica occidentale.
Ben due mini-suite animano l’album: la prima (“The Divine Abstract”, suddivisa in quattro sottocapitoli) è una piccola sinfonia delicatamente barocca e pastorale, con french horn, oboe, violino e violoncello che volteggiano tra sonorità acustiche dal fascino crepuscolare, arpeggi in stile Canterbury e affascinanti madrigali dal ricercato tratteggio armonico. L’altra è l’orientaleggiante “Earth Dragon”, che nell’evolversi delle sue tre parti trasgredisce sonorità tradizionali cinesi con elementi prog e jazz-rock, pur conservando l’eleganza della musica acustica.
Ci sono momenti in cui Charlie Cawood rievoca le originali creazioni della Third Ear Band, alterando sonorità orientali con poco invasive sonorità elettroniche (“The 32nd Path”). Altrove, tra incantevoli incastri di piano, flauto e glockenspiel, fa capolino il minimalismo di Philip Glass (“In A Floating World”), mentre in “Garden Of The Mind” prevale un’attitudine jazz-rock, in bilico tra le gentili escursioni Canterbury e le magniloquenze di Mike Westbrook.
La presenza di musicisti provenienti da band come Chrome Hoof, Mediaeval Baebes, Stars in Battledress, North Sea Radio Orchestra e Haken, rende ancor più intrigante l’originale fusion in chiave avantgarde di classica, jazz ed etnica di “The Divine Abstract”.
Il lungo lavoro di ricerca di Charlie Cawood, ben sette anni, è comunque percepibile in ogni frammento, soprattutto nel magniloquente meltin'-pop della conclusiva “Apotheosis” che, alla maniera del primo Mike Oldfield e con la stessa grazia favolistica di ”Olias Of Sunhillow” di Jon Anderson, mette in scena una graziosa neo-sinfonia folk-prog, enfatica e raffinata sintesi della mistica neo-psichedelia del musicista.
08/12/2017