Jemma Freeman And The Cosmic Something

Oh Really, What's That Then?

2019 (Trapped Animal)
psych, glam-rock

Cazzo, quanto è bello questo esordio! Scusate il tono volgare, lo so che non mi si addice, e per molti versi non si addice nemmeno allo splendore di questo folgorante album. E’ successo però che durante l’ascolto di “Oh Really, What’s That Then?”, primo progetto discografico di Jemma Freeman And The Cosmic Something, ho percepito quell’intraprendenza anarchica e radicale che contrassegna le stagioni più creative della musica rock. All’improvviso mi si è parata di fronte una domanda a caratteri cubitali, scritta nell’immenso vuoto cosmico culturale con il quale siamo costretti a confrontarci ogni giorno: qual è la vera funzione della musica?
Per Jemma Freeman è questione di vita o morte, lo stesso motivo che in passato ha spinto Jim Morrison, David Bowie, Lou Reed, Nick Drake, PJ Harvey, Nick Cave, Marc Bolan verso l’abisso del rock’n’roll, quello autentico, quello che ti permette di assumere una nuova identità con la quale affrontare le paure che scaturiscono dalla banalità e dal fatuo ordine morale della società. Ad onor di cronaca, avevamo lasciato Jemma Freeman alle prese con l’hard-rock psichedelico dei Landshapes, nulla che facesse presagire un’evoluzione artistica di tal fatta.

Le scioccanti immagini del video che ha anticipato l’album, hanno un ché di disturbante, ma la sensazione che “Helen Is A Reptile” fosse solo un sapiente one-shot, pronto a carpire l’attenzione dell’ascoltatore sull’ennesima proposta dalle artefatte sfumature rebel-rock, è scomparsa ad ogni ascolto. Il travestitismo ritorna a svolgere un ruolo importante nella proposta visuale/culturale della musica rock: Jemma, sotto le mentite spoglie del suo alter ego maschile “Jeff from Barnet”, accede al proprio essere femminile con l’inedito profilo di drag king. Un filtro necessario all’artista per poter affrontare paure, traumi psicologici, disturbi della personalità, tentazioni suicide, ossessioni, notti insonni, amori indefiniti, in un sola parola: sofferenza.

Il “cosmic something” evocato dal nome della band non è un capriccio linguistico: per Jemma la forza della natura è l’unica realtà senza limiti, della quale l’essere umano non è che un tassello, nulla di fronte all’infinito cosmico. Ed è la vulnerabilità della mente, vissuta in prima persona dall’artista, il fulcro di un racconto dai risvolti psicologici al limite della insanita mentale. Con la sua musica Freeman si sente pronta a rappresentare un nuovo modo di essere diverso/a, disturbante, irritante. In più occasioni la cantante è stata oggetto di offese, risatine, disprezzo, per l’indefinibile e alterata personalità espressa sul palco o nella quotidianità, uno status mentale e fisico che viene definito sindrome affettivo/normativa, o di weirdo.
C’è tutto ciò in queste dieci splendide idee pop-rock, dieci canzoni che spesso sembrano somigliare a tante cose già sentite e che invece grondano sangue, sudore e lacrime, come se a partorirle fosse stato un esercito di anime rock di ritorno dall’inferno.

Potete provare a chiamarlo semplicemente glam-rock (“Hard Times”), per poi scoprire che i riff sono figli sia di Tom Robinson che dei Pixies, o potete semplicemente pensare ai Doors e a PJ Harvey mentre scorrono le drammatiche note di “Black Rain”, ma in entrambi i casi resterebbero delle zone buie da esplorare con maggior accortezza.
Glam, metal, folk, psichedelia, jazz, pop, o qualsiasi altra forma stilistica sono solo elementi fagocitati da un’anima tormentata e in piena esplosione creativa: le viscerali forme elettro-pop di “Keytar (I Was Busy)”, il minimalismo glam-punk in chiave pop di “What's On Your Mind”, l’intensità poetica della sofferta e graffiante “Tasteless” sono ben più di semplici canzoni pop-rock: c’è un’urgenza malsana e istintiva che mancava alla musica inglese di questi ultimi anni.

Da tempo un’artista non assemblava una sequenza di potenziali hit-single così variegata e nello stesso tempo personale. Vien voglia di azzardare paragoni ingombranti e forse fuorvianti, ad esempio David BowieTy Segall e Oh Sees, ma solo per sottolineare un’analoga irrequietezza di fondo (i diciassette secondi di “Vines”) e una varietà di atmosfere che passa dal tono teatrale e da rock-opera di “Kopenhagen”, al pop-punk lievemente naif di “Distant Places”, fino al tenebroso nitore alla Cure di “Heaven On A Plate”.

E’ un’opera prima ricca e intensa, “Oh Really, What’s That Then?”, dal fascino trasversale, con brani dall’intrigante costruzione armonica, come “Count To Ten”, che prima parte da un lirismo alla Love/Eagles per poi essere trasfigurata da intermezzi alla Patti Smith/Throwing Muses, le stesse distonie che animano la già citata “Tasteless”. Ed è su questo ultimo brano che va per un attimo concentrata l’attenzione, è in questi sei minuti finali che Jemma Freeman mette completamente a nudo le debolezze psicologiche che spesso hanno spinto l’artista verso l’ipotesi del suicidio: un brano ricco di sfumature e ombre, uno spaccato emotivo in bianco e nero che sigilla una delle pagine più interessanti dell’anno.

25/10/2019

Tracklist

  1. Helen Is A Reptile
  2. Keytar (I Was Busy)
  3. Hard Times
  4. Black Rain
  5. What's On Your Mind
  6. Vines
  7. Kopenhagen
  8. Heaven On A Plate
  9. Count To Ten
  10. Distant Places
  11. Tasteless




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