Il gigante raffigurato in copertina mostra i muscoli. Se i Tool hanno impiegato tredici anni per arrivare a “Fear Inoculum”, i Thee Oh Sees dal sole della Bay Area non sono riusciti a completare un giro di calendario dal precedente “Smote Reverser” che già inviano al mondo quattrodici nuove tracce, racchiuse in un mastodontico doppio album. Psichedelia deviata, come al solito, contaminata attraverso trip acidi e svarioni prog. Musica per viaggiare con la mente e dimenarsi con il corpo, che parte quasi in sordina, sulle note di “The Daily Heavy”, per andare a sfociare nella lunga jam session iper-lisergica “Henchlock”, oltre ventuno minuti di onnipotenza psych-rock.
L’altra jam arriva a metà corsa, nei 14 minuti di “Scutum & Scorpius”, che puntano dritti verso un campionario di idee smaccatamente progressive, versante Emerson Lake & Palmer/King Crimson. Ma “Face Stabber” è anche arrembaggi al fulmicotone, in grado di infrangersi sull’ascoltatore in meno di due minuti netti, con le imperiose accelerazioni proto-metal di “Gholu” e “Heartworm”. L’attacco deragliante di “The Experimenter” è magia pura, un funk impazzito e malatissimo, a due passi dal poliziottesco, le chitarre incontenibili rendono la title track uno strumentale potente, una sana botta d’energia, e le influenze jazzy sono sempre dietro l’angolo, forti dell’insegnamento di geni quali Frank Zappa e Weather Report, grazie al quale “Fu Xi” assume le sembianze di un flusso musicale mai arginabile.
Fra riff granitici e ritmiche super-possenti (“S.S. Luker’s Mom”), gli Oh Sees si confermano band aliena a questo mondo quando si dimostrano capaci di sintetizzare il discorso, e "Together Tomorrow” riesce a dire tutto in un minuto e mezzo: applausi. Ma restano un paio di passaggi che avrebbero meritato una decisa sforbiciata, come nel caso di “Captain Loosley”, che oggettivamente aggiunge il nulla nell’economia degli ottanta minuti e passa di questo disco, a suo modo monumentale, strutturalmente complesso.
“Face Stabber” rappresenta il nuovo capitolo di un percorso ragguardevole come pochi altri in termini di prolificità. Rispetto a Ty Segall e ai King Gizzard, John Dwier e compagnia condividono la visione stilistica e assicurano il valore aggiunto di un’iperattività che non va (quasi) mai a discapito dell’altissima qualità media, ma se ne discostano per una maggiore coerenza di fondo, che non sfocia mai nell’ossessiva ripetitività.
Le creature di Dwyer raggiungono complessivamente quota 22 album in altrettanti anni di attività: qualcosa di mostruoso. Ogni disco sembra essere il definitivo, e “Face Stabber” si impone senza dubbio fra i migliori in assoluto.
04/09/2019