I riconoscimenti degli ultimi anni dell’artista danese Paw Grabowski, in particolare il recente “Nattesne”, stanno portando alla riscoperta dei suoi primi lavori, tra cui spicca la meritoria ristampa (anche in vinile) del suo esordio del 2007 “There Is A Flaw In My Iris”. Lavoro giovanile ma già maturo e consapevole, pone il musicista danese al limite del cantautorato minimale, con voce sussurrata e arpeggi di chitarra tanto flebili da sfiorare l’inconsistenza, ma allo stesso tempo portatori di un linguaggio tanto potente da affascinare musicisti di diversa estrazione, provenienti da ogni parte del mondo (solo per citarne alcuni, la Siberia di Foresteppe, il Giappone di Asuna o di Ykymr, la Germania di Jan Grünfeld, gli Stati Uniti di Peter Broderick o di Daniel K. Böhm fino all'Italia di Safir Nòu).
Lunghi bordoni di chitarra fungono da ninna nanna, con una voce tra il parlato e il sussurro, dove gli unici elementi estranei sono appena accennate sovraincisioni ambientali al servizio di questa estetica malinconica. La musica di Ojerum è fin dai suoi esordi antistorica, lontanissima dai tempi dell’ascolto compulsivo o della corsa frettolosa verso il nulla della contemporaneità. Le parole diventano incomprensibili, simili al concetto di incomunicabilità odierna già descritto magnificamente da Matt Elliott in “Drinking Songs”. Quando invece sono comprensibili, si limitano a mero sillabare infantile ("Matka"), come a sottolineare l'inutilità di nuove parole nel mare delle opinioni fallaci, tutte egualmente lontane dalla verità, tipico della nostra società.
La strada di Grabowski è ancora una volta la ricerca di se stessi nel silenzio e nella quiete. Tra gli otto brani spiccano i sette minuti di “Pristine” o gli arpeggi ripetuti di “Mist” e “Tonerum”, punti di partenza per quella che diventerà negli anni la poetica fragile e coraggiosa del progetto Ojerum.
18/06/2019