“The Paralian” era già la seconda tappa di questo viaggio nelle magnificenze della Scozia, il primo ad aver attirato l’attenzione dei media fuori dai confini patri, un inatteso e poetico album chamber-folk dalle tinte jazz e orchestrali.
Meglio conosciuto con il vero nome di Andrew Mitchell, per le precedenti avventure musicali con The Hazey Janes e Idlewild, l’artista scozzese conferma la profonda ammirazione per il jazzista Bill Wells, per quella magica interazione tra luoghi e musica che ha reso unica l’arte di Ennio Morricone e Ryuichi Sakamoto, per il fascino crepuscolare di Virginia Astley, per il misticismo di Alice Coltrane e per tutti quei musicisti abili nel comunicare per mezzo delle sfumature cromatiche dei suoni, la poesia di un territorio o di uno stato d’animo naturale.
Attraverso il linguaggio universale delle sette note, il musicista di Dundee conduce per mano l’ascoltatore in un paradiso naturale, architettonico e storico, “Fugitive Light And Themes Of Consolation” è un racconto fisico e spirituale la cui etica è ancorata alla madre terra, in questo caso l’estuario del fiume Tay.
Le sonorità sono leggermente più oniriche e cristalline rispetto al precedente album, le orchestrazioni sono armonicamente ricche e ariose (“A Further Look At Loss”), gli arrangiamenti di Pete Harvey (tra le sue collaborazioni King Creosote, Modern Studies) profumano di jazz e noir, mentre archi e fiati intonano epici refrain immergendoli in suoni cristallini e umidicci (”Fugitive Light Restless Water”).
Spesso il suono del theremin dona una leggerezza quasi impalpabile (“The Violet Hour”), rinsaldando quell’attenzione alle sfumature e ai colori che è la vera forza di “Fugitive Light And Themes Of Consolation”.
In questo nuovo viaggio sulle coste scozzesi, Wasylyk getta anche uno sguardo verso la civiltà urbana e suburbana che ne minaccia gli spazi vitali: il senso del ritmo e del movimento che agita le dolci note di “Awoke In The Early Days Of A Better World” appare come graffiti su mura di cemento, un segno ancestrale su una terra in perenne evoluzione, un invito a rallentare il corso del tempo per riscoprire il fascino della contemplazione (“Everywhere Something Sublime”).
Musicalmente ancor più intenso e armonicamente incisivo, il nuovo album di Andrew Wasylyk si concede alla orecchiabilità (“In Balgay Silhouettes”), alla sensualità della lounge music e del soul (“Last Sunbeams Of Childhood”), al minimalismo chamber-folk (“(Half-light Of) The Cadmium Moon”) e a pregevoli e malinconiche arie barocche (“Black Bay Dream Minor”), mettendo insieme un collage di suoni e immagini poeticamente vigorosi, intelligentemente in equilibrio tra sogno e realtà.
Quando infine arrivano le note di “Lost, Aglow”, tutta la fluidità creativa e lirica, ricca di purezza e spiritualità idonea ad annullare dissonanze e volontari imprevisti armonici, si manifesta nella sua affascinante essenza, con un breve tocco post-rock che sembra rubato allo Spirito dell’Eden.
(10/12/2020)