Difficile immaginare, nel panorama jazz, due personalità musicali più distanti di Nils Petter Molvær e Mino Cinelu. Il primo, trombettista, è dagli anni Novanta tra i principali fautori del nuovo corso del jazz norvegese, nonché il principale esponente della corrente future jazz che avvicinò la compostezza tipica dell’etichetta ECM all’ambient al trip-hop e alla techno music. Di tutt’altro genere le esperienze di Cinelu, francese ma di sangue caraibico, che fin da giovanissimo affiancò come percussionista artisti del calibro di Miles Davis, Gong e Weather Report, proseguendo poi lungo una carriera di rilievo internazionale e spesso improntata al world jazz.
Prospettive artistiche quasi antitetiche, raccordate però da due significativi tratti comuni: entrambi sono grandi sperimentatori sonori, ed entrambi soprattutto sono creatori di mondi. Glaciali e astratti quelli del norvegese, focosi e colorati quelli del percussionista antillano: se, presi singolarmente, i due stili paiono adagiarsi sul più bieco determinismo geografico, la loro combinazione si svela invece capace di sorprendenti possibilità evocative.
L’incontro tra i due avviene nel 2015 a un concerto di Molvær in Turchia: Cinelu resta ammaliato dalla sintonia espressiva col sound del trombettista, e da allora il progetto resta “nel cassetto” in attesa di trovare una concretizzazione. Occasione che si presenta lo scorso anno in studio prima a Oslo e poi a New York, subendo nel corso del 2020 un’inevitabile riconfigurazione “a distanza” che vede i musicisti coinvolti in uno scambio di materiale digitale.
Il frutto della collaborazione, “SulaMadiana”, si propone fin dal nome come fusione dei rispettivi mondi sonori: “Sula”, lungo la costa tra Bergen e Trondheim, è l’isola norvegese dove Molvær è nato; “Madiana” è il nome amerindo della Martinica, Dipartimento d’Oltremare di cui il padre di Cinelu è originario.
Fin dalle prime tracce, appare chiaro che la qualifica dei due musicisti come trombettista e percussionista è per questo progetto assai limitante: oltre che ai rispettivi strumenti d’elezione, i due si dedicano anche a tutti gli altri suoni presenti sul disco, dalla chitarra acustica (Cinelu) al flauto e i sintetizzatori (Molvær) alla voce (entrambi). Altrettanto evidente appare la completa compenetrazione degli universi espressivi dei due musicisti, da sempre esperti nella materializzazione di spazi, trame diradate, vuoti che spetta ad altri (o al silenzio) riempire.
Come suonano, dunque, i paesaggi emotivi generati da questa comunione di opposti? Ammalianti e variegati. Le quattordici tracce del disco — alcune brevissime, altre sopra i sei minuti — esplorano uno spettro di sensazioni molto ampio, che va dalla rilassatezza oceanica che apre la title track all’attesa di “O Xingu”, dalla spiritualità ipnotica di “Process Of Breathing” (sostanzialmente un episodio solistico di Molvær) alla enigmatica frenesia ritmica di “Song For Julle” (dedicata a Tony Allen, divinità batteristica dell’afrobeat).
Sempre e comunque, i musicisti mantengono le loro personalità. Anche nei frangenti in cui i suoi interventi ritmici sono più dispersi, Cinelu dona calore e dimensionalità alla musica, sporcando di terra, vento e salsedine le divagazioni ultraterrene del norvegese. Dal canto suo, Molvær resta del tutto fedele alla sua inconfondibile cifra stilistica, elegante, ieratica, e inserita con carattere in quella lunga linea di trombettisti ambientali che, aperta da Miles Davis, ha poi visto in Jon Hassell, Arve Henriksen e Paolo Fresu alcuni dei suoi interpreti più eminenti.
Proprio la ricerca sonora del musicista sardo, più volte compagno di Molvær sui palchi delle rassegne jazzistiche internazionali, è forse il termine di paragone più naturale per la sintesi di “SulaMadiana”. Da sempre l’uso della tromba presenta forti elementi comuni: distesa, spesso sordinata, è per entrambi i musicisti più un seme timbrico da cui far sbocciare universi elettronici che lo strumento acustico tipico del bebop. Qui tuttavia la formula del norvegese acquista una tavolozza più calda e insulare che mai, avvicinandosi consistentemente a quella spiritualità intrisa di folklore che è fra i cardini espressivi del flicornista sassarese (autore proprio quest'anno, in curioso gioco di rimandi, del disco più Molvær-style della sua carriera).
Che il baricentro tra i fiordi norvegesi e i vulcani delle Piccole Antille stia, sorprendentemente, proprio nel mezzo del Mediterraneo?
23/12/2020