Let's do it a dada! Mutuiamo l'incoraggiante motto dei redivivi berlinesi per inquadrare il secondo Ep di questo sciroccato duo britannico, riprova di quanto la Warp non abbia mai smesso di scommettere. Il loro nome vuol dire "sospensorio" e ce ne vorrebbe uno ben corazzato per parare colpi simili. Georgia Ellery (ex-violinista jazz) e Taylor Skye (ex-studente di musica elettronica) sono consci dell'acclarato tramonto conceptronico e non provano nemmeno a fare la mossa. Semmai, puntano a parodiare un intero decennio di movimenti autoproclamati, procedendo per un'accumulazione pari al capitale simbolico dissipato.
Nell'immaginare la loro raccapricciante "città malefica" (doppelgänger demenziale di quella profetizzata da Elysia Crampton) affiancano quindi stucchevolezza ultra-pop e psicosi ultra-digitale, esasperando il patetismo dell'una e il malessere dell'altro, con una copertina che aggiorna l'evergreen metaforico dell'uomo schizoide contemporaneo.
Più che un brano canonico, "Robert" è un mixtape spalmato su una radio disturbata: bassi cavernosi, effettacci orrorifici, rap in chopped and screwed, abreazioni ritmiche alla Arca e un rigurgito percussivo che pare estrapolato da "Bish Bosch". La recente collaborazione tra Royal Trux e Kool Keith, in confronto, pare davvero una bazzecola.
"Acid" si apre con un tripudio di archi in metastasi, si evolve attraverso uno scimmiottamento di Lily Allen e trionfa in un'apoteosi progressiva a rombar di mellotron: in pratica dei Fiery Furnaces, per l'appunto, sotto acido. E se credete che l'ultimissima Fiona Apple sia quanto di più strambo possa offrire una ballata pianistica, beh, andatevi ad ascoltare "Yellow In Green".
Nulla, comunque, in confronto al singolo "The City": per i primi due minuti e mezzo ci si adagia sulla più enfatica delle melodie, poi spuntano dal nulla un pestello industriale e un mortaio rumorista a frantumare un duetto di voci pitchate allo spasimo, quasi stessero doppiando un cartone animato manicomiale. Chino Amobi approverebbe a mitra spianato.
Sempre in tema di alterazioni vocali, "City Hell" chiude la fiera menando un debilitato soul sintetico, prendendosi gioco dell'autotune-mania con un sorriso comicamente sdentato (nonché un chitarrone glam).
Il formato ridotto non è casuale: un album intero di sta robaccia spappolerebbe il cervello anche ai più tenaci. Non una nota esplicativa allegata, tanto per mettere in chiaro che fanno sul serio. Difficilmente quest'anno ascolteremo un disco più folle.
23/06/2020