Le teorie di Brian Wilson, le sperimentazioni in laboratorio di Todd Rundgren, il corso di perfezionamento di Donald Fagen e Van Dyke Parks e gli aggiornamenti scientifici di Stephin Merritt e Stereolab sono i testi di riferimento per uno degli album più lussuosi e lussuriosi dell’era moderna. Marker Starling ha palpato l’utopia di ogni autore pop e, estasiato da tanta bellezza, ha lasciato la presa per appuntarne segreti e alchimie non noti a tutti.
Non tentate di trovare un funky-soul più elegante e malinconico di “Coin Of The Realm”: i vellutati fraseggi ritmici e il tintinnio di poche note di fender rhodes sono da tesi di laurea sulla sessualità nel mondo pop-rock. Una magia che si ripete nella sensuale bossa nova in chiave pop-soul-jazz di “Wait The Night”, che rimanda alle prime incisioni di Michael Franks, e nell’esteriormente più convenzionale pop-jazz alla Manhattan Transfer/Donald Fagen, con tanto di coretti doo-wop, di “Drop And Pierce”.
Qualcuno si chiederà dove la mano dell’irlandese, già teorico dell’enciclopedia del modern pop a nome High Llamas, sia più presente, dimenticando che i due musicisti sono figli della stessa scuola di pensiero. Le uniche differenze sono quelle legate a una meno marcata struttura degli arrangiamenti, che alla fine è il vero beneficio apportato da O’Hagan nel macrocosmo di Cummings. A beneficiarne sono soprattutto l’estrosità armonica della magica “Waiting For Grace”, che sposa le moderne alchimie di lounge music, elettronica e funky-soul, ospitando la voce di una Laetitia Sadier in gran forma.
“High January” è invece un omaggio alla musica come arte: si ascolti con attenzione il testo della title track, un brano ambizioso senza essere mai eccessivo o ruffiano, un prezioso capitolo di quell’arte del songwriting che spesso latita nella musica pop mainstream.
L’eleganza concettuale dell’articolata “Move It On” e l’affascinante sintesi di 50 anni di pop music di “Starved For Glamour” sono i due estremi sui quali Marker Starling crea un disco esteticamente sublime e strutturalmente ricco di eccellenti intuizioni armoniche. Il congedo finale è affidato al brano che più di qualsiasi altro mette al centro la passione comune di Cummings, O’Hagan e Andy Ramsay (Stereolab), ovvero la soleggiata California dei Beach Boys, tra il suono dei synth, i cori tipici della musica surf e una leggerezza melodica e vocale che ancora una volta lascia il segno, suggellando la miglior prova del musicista canadese.
Ovviamente se siete sintonizzati su sonorità grezze e ruspanti, astenetevi dal frequentare questi lidi: potrebbero provocare nausea o modificare per sempre la vostra concezione della musica. Io vi ho avvisato.
(16/06/2020)