"L'abitudine di tornare" - titolo del suo penultimo album del 2015 - sembra essersi diradata per Carmen Consoli, se è vero che è stato necessario aspettare ben sei anni per il suo successore. Un lasso di tempo lunghissimo, per le logiche del mercato musicale contemporaneo, che ha permesso però alla Cantantessa sicula di restare sospesa in una sorta di bolla, fuori dai giochi, e di ripresentarsi ora con ritrovata vigoria e creatività. Come ci ha raccontato in una lunga intervista, del resto, avvertiva forte l'esigenza di fermare il tempo, di soffermarsi su pensieri, riflessioni, ragionamenti, schivando le insidie della frenesia bulimica dei nostri giorni. "Volevo fare la rockstar", allora, ha assunto soprattutto il tono di una riflessione matura, tra sfera intima e politica, nostalgie e speranze per un domani diverso, meno violento e disumanizzante. Insomma, quell'invito a "respirare col cuore" e a "riaccendere i sogni e i lumi della ragione" contenuto nel bel singolo che ha anticipato il disco ("Una domenica al mare"), un'esortazione a trovare la parte più autentica di sé, oltre le convenzioni e le aspettative sociali, dando voce a "quei desideri che da qualche parte ancora aspettano" ("L'aquilone").
Griffato da un'azzeccata copertina vintage che ritrae Carmen con fiocco e grembiule e con la penna smangiucchiata ("per l'ansia di essere costretta a scrivere con la destra, io che ero mancina"), "Volevo fare la rockstar" è un album che non si propone di provocare o sconvolgere, come i primi lavori della cantautrice catanese (si pensi a un brano disturbante come "Per niente stanca"), ma, nel solco della sua produzione "matura", seduce lentamente, in modo inesorabile. Manca il colpo da ko, insomma - anche se la title track è una delle sue migliori canzoni degli ultimi dieci anni - ma immergendosi nell'ascolto dei 44 minuti dell'album, non si può non restare rapiti dalla sua armoniosità melodica: dalla grazia dei riff di basso in stile Motown di "Sta succedendo" all'eccentrica andatura vagamente surf di "Mago magone", dal Bolero anni 30 e dalle orchestrine anni 50 di "Le cose di sempre" (delizioso episodio vintage che racchiude anche una delle melodie migliori del lotto) ai suoni caraibici sposati a un approccio da folksinger di "Armonie numeriche", con tanto di coda strumentale quasi prog-rock in omaggio al padre Giuseppe, cui è dedicata.
Ma è difficile anche restare insensibili alla dolcezza con cui Consoli scoperchia il suo baule dei ricordi, tra scampoli fiabeschi ("Il chiarore della luna e delle favole" ne "Le cose di sempre", "Venere al tramonto culla un piccolo mistero interplanetario" in "Sta succedendo", il coraggio di "affrontare l'uomo nero" nella title track) e concrete immagini di una dimensione familiare rassicurante ("i panini al latte con olio, sale e olive" della title track o "Com'era bello interromperti, strapparti un bacio con un sorriso" in "L'Aquilone") in cui riemerge il ricordo del padre, scomparso nel 2009 e rievocato anche in sogno ("Ed avrei voluto chiederti/ Sarai sempre orgoglioso di me?/ Ed è così che sеi tornato a salutarmi/ Un bouquet di rose bianche е il sorriso di sempre"), mentre al figlio Carlo Giuseppe - che vediamo correre nel videoclip di "Una domenica al mare" - sono riservati i momenti più radiosi (ma anche i timori) del racconto, come nella ninnananna esotica di "Le cose di sempre" ("Vieni qui tra le mie braccia e raccontami/ Di diavoli, fantasmi e formiche giganti... Come posso figlio mio insegnarti a rispettare/ Le idee e le debolezze altrui le piante e le zanzare?/ In questa giungla inospitale in cui a dettare legge è il predatore").
Eppure, in questo vortice di ricordi, cartoline ingiallite ed emozioni intime, sublimato dalla chiusa autobiografica della struggente title track, non manca il solito sguardo ironico e disincantato della Cantantessa verso la politica e le miserie nazionali, ben rappresentato dalla filastrocca uptempo di "Mago Magone" (feat. Dpoxy601), dedicata al circo di illusionisti, sciamani e burloni che inquina la realtà quotidiana, di fronte al quale non resta che affidarsi alla natura e magari "ricominciare, imparare dagli alberi a camminare senza calpestare" ("Imparare dagli alberi a camminare"), mentre paradossalmente l'episodio più costruito come un'invettiva vera e propria ("L'uomo nero") è quello che suona più scarico, a dispetto delle buone intenzioni: l'assalto verbale ai sovranisti e la parodia della retorica fascista di oggi e di ieri. L'attuale Consoli sa colpire più forte, semmai, ricorrendo a immagini fanciullesche di lacerante intensità ("Sul marciapiede un telo bianco copriva un uomo inerte/ Fino alle scarpe nere/ Ma come può saltare in mente a quello di dormire/ In mezzo al traffico e alla gente", nella title track).
Musicalmente, domina un suono analogico, con muri di amplificatori e valvolari, curati dal fonico Toni Carbone che ha prodotto il disco assieme a Roccaforte e alla stessa Consoli. Un sound cristallino, grazie anche alla Rickenbacker 12 corde che, affiancata alla chitarra acustica della cantautrice catanese, regala un riuscito mix di sonorità retrò e contemporanee, mentre il mixaggio di Pino Pischetola (storico tastierista di Battiato) dona un raffinato tocco digitale che rende le atmosfere più avvolgenti.
Chi chiede a Carmen Consoli di trasformarsi o di tornare al rock degli esordi resterà forse deluso, così come probabilmente tutti quelli che hanno sempre diffidato di lei (e che comunque fanno sempre in tempo a ravvedersi). Per gli altri, invece, le dieci carezze di "Volevo fare la rockstar" non potranno far altro che consolidare l'idea di essere al cospetto di una delle migliori esponenti del cantautorato italiano degli ultimi 25 anni, allergica per natura all'idea di svendersi, nonché - particolare assolutamente non scontato - dotata della capacità di cantare, e in modo sempre originale. Come scriveva il New York Times? "Una magnifica combinazione tra una rocker e una intellettuale, una voce piena di dolore, compassione e forza". Ecco, a parte l'uso un po' disinvolto del termine "intellettuale", il senso è quello.
03/10/2021