Le vicende dei
Deep Dark Woods non sono una storia marginale o di culto. La band canadese è responsabile di almeno un paio d’album degni di nota (“Hang Me, Oh Hang Me”, “
The Place I Left Behind”) ed è una tra le rare formazioni capaci di incidere con la sua opera in un ambito stilistico ampiamente inflazionato (
Neil Young,
Bob Dylan,
CSN&Y,
Band).
Dopo l’ottima, e ingiustamente ignorata da critica e pubblico, prova solista di Ryan Boldt del 2014, “Broadside Ballads”, tocca all’altro chitarrista Evan Cheadle rifocillare il panorama cantautorale con dodici adorabili serenate. Sonorità folk e country-blues per una coerente e solida sequenza di ballate introspettive e dolcemente barocche, a volte inclini a un’estasi onirica inebriante e ricca di preziose sfumature emotive.
“Fault Line Serenade” è un disco che sembra fuggito da una dimensione temporale ormai superata. E’ un tesoro nascosto, che merita gloria ed enfasi critica per una lunga serie di motivi, ma soprattutto per una solidità artistica che lascia senza fiato, anche l’ascoltatore più incallito.
Il musicista di Deep Cove (Canada) ha coltivato la passione per la musica sin da giovanissimo. Folgorato da Bob Dylan e dalla tradizione country-blues, Evan Cheadle ha unito alla naturale propensione per la chitarra e alla formazione da autodidatta un breve percorso di studi, senza però rinnegare la tradizione che si affida alla trasmissione orale, non scritta, dei vecchi canti popolari. Da questa sapiente e profonda conoscenza del folclore più antico, germogliano canzoni potenti e strutturalmente semplici come “Ice Water”, pochi accordi di chitarra, un gorgheggio vocale che fa vibrare l’anima e un arrangiamento di archi che giace nelle profondità, aggiungendo estatica bellezza. Una grazia espressiva che è altresì evidente già dalle poche note dell’introduttiva “No Love Lost”.
Ascoltando i sette minuti e sei secondi di “I Hear The Singing” viene da chiedersi se qualcuno avesse finora catturato con tanta limpidezza quella vigoria armonica tipica degli anni Settanta che artisti come
Bill Fay e
Tim Hardin avevano reso oggetto di culto. La risposta giace nel silenzio che segue allo stupore di fronte a tanta magnificenza.
Resterà deluso, invece, chi immaginava di trovarsi di fronte al solito album dai toni gentili e involuti di molti cantautori contemporanei: l’avvicendarsi di accordi di
fingerpicking, del timbro caldo e avvolgente del canto e del profondo lirismo di “Sorrow In The Morning” sono frutto di una rigorosa scrittura, una peculiarità che Cheadle governa con la stessa naturalezza di
Harry Nilsson o
Tom Rapp (“Joker”) e con una versatilità tipica del folk-soul tipico delle ultime prove di
Tim Buckley (“Some Fool”).
“Fault Line Serenade” è uno di quegli album che quando credi aver già ascoltato abbastanza, riesce ancora a sorprenderti e tenerti avviluppato alla sedia (o meglio ancora alla poltrona). I poco più di due minuti di “First Morning Light” non sono solo intensi, ma trasudano emozione e poesia anche quando la musica sfuma per lasciare spazio alla più ordinaria “All Sing Out”, che anticipa il brioso poker finale.
La chitarra elettrica che cesella l’originale scenografia bucolica di “Fumes” rischiara definitivamente l’atmosfera dell’album, anticipando l’armoniosa vaporosità di “Look Out”, la sognante enfasi melodica della magica ninnananna di “So Wild” e quel piccolo gioiellino country-folk-pop di nome “Float On Down The Line” che aveva preannunciato tempo fa la nascita di un disco tanto inatteso quanto solenne.
Evan Cheadle irrompe nel panorama cantautorale con un'opera che, al pari dell’album di
Hjalte Ross “Waves Of Haste”, segna indelebilmente la produzione cantautorale dell’anno in corso.