Nonostante i paragoni della critica internazionale con personaggi di rilievo come Nick Cave e Scott Walker, il ruolo di John Murry nel panorama musicale odierno resta purtroppo ancora marginale. Un autentico outsider e artista di culto che si è guadagnato un discreto seguito anche in Italia, grazie ad alcune fortunate tournée sul nostro territorio. Gli accostamenti appena citati e l'altrettanto ricorrente paragone con Lou Reed in verità non ne catturano la natura più profonda e intrinseca, ben rappresentata da questo nuovo progetto discografico.
Sono passati quattro anni dall’ultimo album “A Short History Of Decay”, un capitolo particolarmente doloroso per l’artista, alle prese con il divorzio, la perdita di un caro amico e la rottura di un contratto discografico. “The Stars Are God's Bullet Holes” assume pertanto il ruolo di progetto della rinascita.
Il tono più scontroso e cupo del terzo album di John Murry è desueto, gli arrangiamenti dell’ottimo John Parish sono ruvidi, taglienti, amabilmente imperfetti dal punto di vista concettuale, grazie a sonorità infettate da elettronica, funky, rock sudista e da un'inattesa vena pop, che sgorga dalle fluttuanti oscurità dei Velvet Underground e dal sarcastico rock’n’roll dei Modern Lovers di Jonathan Richman.
Scoprire nell’albero genealogico di John Murry la parentela con lo scrittore William Faulkner incuriosisce e stimola: non è infatti difficile scorgere elementi narrativi affini, una veemenza linguistica ed espressiva che nasce comunque da esperienze dirette potenzialmente destabilizzanti. Il rapporto turbolento con i genitori adottivi, le violenze subite da alcuni ragazzi conosciuti in un centro di riabilitazione cristiano fondamentalista, dove fu rinchiuso per aver fumato qualche canna e bevuto un po’ di alcol, la dipendenza dalle droghe e la lunga lista di lavori occasionali raccontano molto di John come uomo, tutto il resto è racchiuso nella sua musica.
E’ la conoscenza della sofferenza, la fonte primaria delle poetica aspra e priva di autocommiserazione di “The Stars Are God's Bullet Holes“. Murry e Parish strappano dalle maglie del minimalismo e da tenui distorsioni chitarristiche tutto il sostegno necessario per mettere in fila una sequenza di canzoni avvincenti e disordinate.
E’ un album oscuro e greve, eppur denso, tra riff taglienti e subdoli che creano scompiglio (“Time & A Rifle”, aspro e dolente resoconto degli abusi sessuali subiti), pedal steel piano e violoncello che stemperano il groove funky di “Oscar Wilde (Came Here To Make Fun Of You)” (un crudo racconto di terrorismo e bombe artigianali) e melodie consunte dal passare del tempo e dalla disillusione che scaturisce dalla consapevolezza (“Ones + Zeros ”).
E’ un alternarsi di luci e ombre dal tono quasi caravaggesco: Murry dona spessore a pochi essenziali elementi narrativi e musicali con la stessa urgenza emotiva degli American Music Club (non dimentichiamo che l’esordio del musicista fu prodotto da Tim Mooney), il dosaggio degli strumenti è sempre calibrato, mai invadente, anche quando diventa elemento caratterizzante delle canzoni.
La maturità della scrittura agevola la varietà delle soluzioni. Basta poco, infatti, per incendiare le svogliate e nervose composizioni dell’autore: un crescendo di tastiere e tempi ritmici ovattati per la struggente “Perfume & Decay” (con il contributo di Nadine Khouri) o un aspro e incessante groove funky-rock per la scellerata title track.
Non è un caso che abbia citato tra i riferimenti Lou Reed e Mark Eitzel: John Murry racconta con la stessa ferocia e poesia la travagliata esperienza di figlio adottivo, estraendo dal cappello magico una melodia di rara dolcezza e incanto (“Di Kreutser Sonata”), lascia lievitare su potenti note power-pop l’ingannevole storia d’amore di “I Refuse To Believe (You Could Love Me)”, infine non rinuncia alla consueta cover, pescando un brano dei Duran Duran, “Ordinary World”, e alterandone però la natura pop con un groove hard-rock architettato con la complicità di John Parish.
A dispetto dell'innato eclettismo, per la prima volta la musica di John Murry si piega a un’omogeneità stilistica più caratterizzante e personale. “The Stars Are God's Bullet Holes” è un disco dal suono desertico, apocalittico, emotivamente ancora frammentario (“Yer Little Black Book”), nel substrato strumentale sono ravvisabili schegge degli Sparklehorse, dei Massive Attack, di Lou Reed, ma anche uno stile narrativo che non ha molti eguali e che promette ulteriori interessanti sviluppi futuri.
15/08/2021