E' ormai appurato come la morte di Klaus Schulze abbia fatto ricordare a un'intera generazione come la sua musica, più di ogni altra, sia stata in grado di proiettare la nostra mente negli abissi cosmici. Maestro manipolatore del suono, ha ricercato fin dagli inizi la sperimentazione: musica come macrocosmo, e mai come dimensione prettamente umana e sociale. Il suo contributo nelle prime tecnologie sonore è stato a dir poco paradigmatico e si è rivelato decisivo nel passaggio tra l'analogico e il digitale, considerando che una buona parte dello spettro di scelta di diversi programmi audio è stato codificato da suoni generati e campionati proprio in passato dal corriere cosmico tedesco, in tempi in cui elaborare il suono era impresa ben più ardua del cibo in scatola della digitalizzazione.
"Irrlicht" fu una nuova frontiera. Le sferragliate di synth di "Satz: Ebene", così nitide quanto intense, impostate su un costante tappeto iridescente che preparava l'ingresso all'allora aspirata nuova era, bucavano la soglia uditiva dell'ascoltatore, fino ad accedere alle nostre cortecce cerebrali. La figura aliena, nella cover della ristampa del 1975, con il corpo a metà tra la posizione del loto e la rigidità della gamba destra, quasi a simboleggiare il funzionamento dei due emisferi, è ancora oggi emblematica. E lontana da essa, una Terra, la nostra Terra, vista in un'altra forma, in un altro tempo, con un'altra magnitudine apparente.
Mai musica fu più in grado di arrivare così lontano, se non a partire da quella prima scintilla siderale. Sulla traiettoria di "Irrlicht", poi, si allinearono i coevi Tangerine Dream, suoi adepti e compagni, e la musica psichedelica non fu più la stessa, o meglio, entrò nel pieno della sua rivoluzione industriale, un fordismo della psichedelia se vogliamo, utilizzando un eufemismo. Ciò lo si evince dal cambio di passo nella carriera dei Tangerine Dream, che lasciarono l'impostazione presente sino ad "Alpha Centauri", per andare verso le pleiadi e le nebulose di "Zeit" e i tunnel spazio-temporali di "Phaedra" e "Rubycon".
"Deus Arrakis" è l'effigie sulla sua lapide, la gloria postuma e la conclusione di una impegnativa discografia che ha gettato le fondamenta di tutta la musica elettronica realizzata in seguito. E' una ripresa di alcune vecchie registrazioni dai tempi del suo disco "X", allora ispirate all'opera di Frank Herbert; originariamente furono concepite come soundtrack per il film "Dune", e pubblicate infatti nel '79; in seguito, accantonata l'idea di utilizzarle per la pellicola cinematografica, rimasero solo legate al tema letterario.
Suddiviso in tre parti proprio come lo era "Irrlicht, "Deus Arrakis" ci si presenta solenne, e colossale, in tutto il suo faraonico splendore. La prima suite, "Osiris", in quattro movimenti, introduce la mente dell'ascoltatore nei tempi mitologici delle divinità egizie e delle prime dinastie, con un suono vintage, che sembrerebbe ricordare la sua fase dei tardi anni 70, segnata da un disco come "Mirage", con la sua "Velvet Voyage", sicuramente memorabile. Suono pieno, epocale, visionario. La musica di Schulze non è stata mai un gioco, l'induzione di uno stato alterato, quasi nella ricerca di una porta percettiva, è una prerogativa della sua esplorazione. E la ripetizione e la deformazione del suono puntano proprio a questo accesso.
"Seth", la seconda suite, divisa questa volta in sette frammenti per la durata complessiva di 30 minuti, sembra un saliscendi tra le dune desertiche, con un'introduzione che suona come una tempesta di sabbia digitale, per poi seguire con un incedere marziale quanto pacato, come la navigazione della barca solare di Ra e Seth, che nella leggenda trainava il sole dall'alba al tramonto, sopra i deserti del Maghreb. Il pezzo si chiude con una coda crepuscolare di archi di Wolfgang Tiepold, che ricorda a tratti "Terrestrials", lavoro di Ulver e Sunn O))), del 2014, a testimonianza di quanto la stessa opera di Schulze si sia protratta al di là dei confini eleuropei e sia diventata patrimonio musicale globalmente accessibile. Riprende infine il ritmo a ritroso, questa volta dal tramonto all'alba, quest'ultima si svela nella sesta parte, mentre la settima parte è atarattica e cosciente dell'eterno ritorno. Non esiste giorno senza notte, ne rimane un brivido e una lacrima, e poi la coscienza risplende.
L'ultima suite, "Der Hauch des Lebens", "il respiro della vita", chiude il quarantasettesimo e ultimo album del maestro della scuola berlinese. Un flebile sospiro di donna echeggia soffuso, al di là della nostra comprensione, su un disteso "requiem vitale", suonato dalle tastiere del maestro. Il pranayama che diventa suono, come il respiro che coagula di nuovo in linfa, all'interno, e ne muove l'organismo, ritornando alla fisicità del ritmo, della propria percezione degli arti, dei nostri corpi.
E' il suo shavasana finale, il suo eterno riposo. Un sarcofago viene sigillato con le proprie reliquie, reso inviolabile dai guardiani, in vista del viaggio nell'oltretomba; al contempo, una barca scorre quieta nel delta del Nilo, tra i papiri e le canne d'India; le acque del Nilo cullano un neonato nel loro calmo ondeggiare. Ecco che vita e morte si riequilibrano, complementari. Suono di una forza visiva commovente e assoluta, sempre in grado di creare l'immagine in modo magniloquente e totale.
La scelta di richiamare l'Egitto mitologico nel suo ultimo e mastodontico disco sembra vincente, per un Lp che chiude con molta dignità una carriera costellata di successi non tanto di pubblico, ma di vera creatività e traguardo sperimentale. Una sintesi tanto classica quanto inceccepibile, se non per il fatto che nella sua esperienza c'era ormai rimasto poco da aggiungere o innovare. Archeologia del suono, per speleologi musicali del giorno d'oggi.
Riportiamo infine il racconto della genesi del disco nelle parole dello stesso Schulze: "Da un lato questo album è stato creato spontaneamente come tutti i miei album precedenti, dall'altro ha una storia speciale: quando ho prodotto il mio undicesimo album 'Dune' nel 1979 conoscevo già la trilogia di Frank Herbert come altre persone conoscevano il 'Signore degli Anelli'. Ero totalmente affascinato da questa storia monumentale del pianeta desertico e lessi i libri più e più volte. Ho chiesto ad Arthur Brown e Wolfgang Tiepold di venire nel mio studio e ho iniziato a creare il mio musical 'Dune'. E con il brano 'Frank Herbert', tratto dal mio precedente album 'X', ho voluto mostrare rispetto al grande autore. Dopo le successive versioni cinematografiche - a mio avviso non molto soddisfacenti - il tema non era più al centro della mia attenzione ed è stato dimenticato per molto tempo. Ma all'improvviso, circa 40 anni dopo, ho sentito parlare di un progetto di remake di 'Dune' da parte di Denis Villeneuve, che mi ha colpito in modo del tutto inaspettato. Ho ricominciato a leggere i libri e ho anche rivisto il film di David Lynch. In realtà, attualmente leggo molto, perché ora ho il tempo per farlo. Dopo un po' ho anche ricominciato a fare musica, ma non ci ho più pensato. Mesi dopo ha squillato il telefono e Lisa Gerrard mi ha messo in contatto con il suo amico Hans Zimmer. Aveva un'idea per una collaborazione... proprio per il remake di 'Dune' di Denis Villeneuve! Siamo andati d'accordo fin dall'inizio - proprio come me, anche Hans è un grande fan - e il risultato è finito per essere nel film di 'Dune'. È davvero incredibile come a volte i cerchi si aprono, si incrociano e alla fine si richiudono. Tuttavia, sono stato nuovamente catturato dai deserti di 'Dune' e avevo bisogno di più 'ingredienti'. Eccitato, sono tornato nel mio studio e ho trovato una registrazione per violoncello di Wolfgang Tiepold. Da lì mi sono sentito completamente libero e ho suonato e suonato... alla fine di quel secondo viaggio privato ho capito: 'Deus Arrakis' è diventato un altro saluto a Frank Herbert e a quel grande dono della vita in generale".
Ruhe in Frieden, Klaus Schulze.
25/09/2022