Il 2022 si è rivelato un anno costellato di ritorni e di validi debutti, e tra questi ultimi non si può tralasciare quello delle Witch Fever, quartetto guidato dalla cantante Amy Walpole e completato dalla chitarrista Alisha Yarwood, da Alex Thompson al basso e dalla batterista Annabelle Joyce. Il gruppo mancuniano in “Congregation” gioca su metafore religiose ed esoteriche, e su un crescendo di violenza nei toni, corroborati da un sapiente misto tra punk, doom-metal, rimandi nirvaniani e in zona Babes In Toyland, e nelle situazioni descritte nelle liriche, scagliandosi contro il patriarcato e tutte quelle istituzioni ai vertici della società che abusano del proprio potere. Una su tutte, inutile precisarlo, è ovviamente la Chiesa.
A far miglior mostra di sé è il robusto trittico in apertura composto dalla preghiera oscura e intrisa di sarcasmo “Blessed Be Thy”, dalla potente e noisy “Beauty And Grace” incardinata su basso e batteria e dalle atmosfere hard’n’heavy dal sapore vagamente sabbathiano di “At The Core”. L’ombra dei pionieri del metal si protrae anche sulla lenta “Congregation”, traccia che miscela doom, punk e rock rumoroso, fino a sfiorare derive gothic.
Tra i ritmi forsennati di “Deadlights” spiccano echi grunge, a cui seguono i giochi di batteria nuovamente in primo piano in “Market”, brano in direzione doom-metal. I guitar-riff sinistri di “I Saw You Dancing” fanno da sfondo a un dialogo tra una ragazza e un molestatore, mentre la successiva “Snare” è un tornado punk che imbriglia una storia di violenza domestica, perpetrata da parte di un aguzzino che si dichiara colpevole per poi continuare a reiterarla.
They won't take no for an answer
As if they ever fucking asked
Yeah we incite this violence
Nothing ever changed in silence
Preceduta dalla vorticosa “Bloom”, che richiama alla memoria le Savages di Jehnny Beth, a far da padrona nella seconda parte del disco è la bassline dell’incalzante “Sour”, invito a far sentire la propria voce contro il patriarcato in forma di anthem di protesta à-la Rage Against The Machine. “Bloodlust” appare poco più che un riempitivo, al quale fanno seguito l’intensa “Slow Burn” e la chiusura “12”, con quella che, verso dopo verso, si rivela essere una chiara allusione a una violenza sessuale subita in età adolescenziale, soffocata tra urla strazianti, stridii e influenze grindcore.
A fronte di qualche ridondanza, sia dal punto di vista del sound adottato, sia dei testi, “Congregation” punta un riflettore su temi scomodi e (sempre) attuali, dirigendo le proprie invettive contro coloro che abusano della propria posizione, similmente a un altro ottimo lavoro uscito nel corso dell’anno, ovvero “Baby” delle Petrol Girls, ma in maniera meno grezza e schietta di quest'ultimo. Dal futuro della band ci si auspica una maggiore concentrazione sulla cura delle sonorità, che seppur molto interessanti, rischiano di ripetersi eccessivamente, fagocitando i contenuti delle liriche. Le premesse e la materia prima per un buon sophomore e una conseguente crescita da parte della band di Manchester ci sono tutte.
23/12/2022