Quello di Wunderhorse, progetto solista di Jacob Slater, musicista, ex-Dead Pretties e attore (ha recentemente interpretato Paul Cook nella miniserie "Pistol"), è uno dei migliori debutti del 2022 in area indie-rock/alternative. Garantiscono Sam Fender e Fontaines D.C., questi ultimi in particolare dichiarati estimatori, a cui il giovane artista britannico ha fatto da supporter per alcune date dei rispettivi tour. Se la prima band di Slater aveva tentato di omologarsi a quel panorama a cavallo tra indie e punk, in direzione Strokes e affini, qui il musicista dimostra una maggiore maturità, presentando al pubblico pezzi che erano chiusi da tempo immemore in un cassetto, portati a compimento grazie a chiavi di lettura di cui prima non disponeva. In "Cub" coesistono due anime, una brit e una di tradizione americana tra Nineties e inizio millennio, che emergono durante una ripetuta alternanza di momenti energici e ballate intense.
A ingranare lentamente, imponendo da subito la chitarra come grande protagonista dell'opera, è la pseudo-ballata elettrica "Butterflies": caratterizzata da strofe meste e scure e slanci nel ritornello, gioca su attitudini grunge e annovera tra le maggiori ispirazioni "Mystery White Boy", live album di Jeff Buckley. Si prosegue con un omaggio plateale all'Americana e ai southern riff di "Sweet Home Alabama" dei Lynyrd Skynyrd in "Leader Of The Pack", pezzo ricco di echi di fine anni Novanta, tra i più adolescenziali e apprezzati nel repertorio live dell'artista. Si colloca sulla scia tra Nineties e inizio Duemila anche la chitarra liquida della leggera "Purple", che vede in primo piano la sezione ritmica, mentre il crescendo di "Atlantis" guarda alla produzione indie-rock/folk di Elliott Smith, del quale si riconoscono le influenze beatlesiane.
Nelle lievi scosse di "17", brano più vecchio del disco, sono riflessi i moti di costante ricerca di senso di appartenenza, tipici dell'età adolescenziale, ai quali segue una dedica accorata a un'amica guarita da una malattia in "Teal", che sfiora i territori emo e post-hc. Tra i pezzi di spicco vi è "Poppy", diviso tra derive psych in direzione Screaming Trees ed evidenti richiami baggy a Stone Roses e Charlatans, a cui fa seguito un ulteriore riavvicinamento alle radici brit, la lieve e scarna "Mantis", dove si ritrovano piccoli riferimenti a Oasis e Suede.
I passaggi di chitarra di "Girl Behind The Glass" uniscono delle sottili lusinghe alla malinconia britpop a un ritornello in zona Semisonic, mentre la dinoccolata "Morphine" sembra uscire da un Mtv Unplugged dei tempi d'oro.
La chiosa finale è affidata all'incedere epico e liberatorio di "Epilogue", sostenuto da una bassline prepotente e a giri di chitarra noisy e ipnotici, dove Jacob si volta indietro per l'ultima volta, dicendo definitivamente addio all'età dell'innocenza. Pur rievocando numerose atmosfere e scene musicali di fine millennio, funzionali agli argomenti trattati, le sonorità di "Cub" risultano sempre e comunque credibili. Il percorso all'interno dell'album tiene il punto traccia per traccia, senza la necessità di riempitivi, tirando le somme su alcune esperienze determinanti del passato di Slater, e chiude un capitolo importante della vita dell'artista, in favore di qualcosa di completamente nuovo e (date le premesse del debut, ci auguriamo) valido.
28/11/2022