Reduci dalla pubblicazione del fortunato “Tracey Denim”, punto di inizio di una ricca tournée che non accenna ad arrestarsi (si spera con live un po’ più espressivi di quelli nostrani), i bar italia hanno deciso di restare sotto i riflettori e proseguire la loro corsa con “The Twits”, quarto lavoro in studio e secondo a firma Matador, composto da ben tredici tracce inedite. All’interno del nuovo capitolo, la premiata ditta Cristante-Fehmi-Fenton rinnova il sodalizio con Marta Salogni al mixer e sembra voler abbandonare ufficialmente la formula “breve” a cui ci aveva abituati con le battute d’esordio, affidandosi a una più classica struttura-canzone sopra i tre minuti, ma mantenendo il consueto giro di voci su sfondo slacker-rock. A quest'ultimo stavolta, oltre alla consueta quota post-punk, si aggregano dettagli noise-pop. Il titolo dell’opera fa riferimento all’omonimo romanzo per bambini di Roald Dahl, i cui protagonisti sono una coppia di coniugi brutti, sporchi e cattivi, dedita agli scherzi.
Il primo passaparola si sussegue sulla più efficace “my little tony”, i cui richiami noisy oscillano tra Sonic Youth e Garbage, proseguendo con le distorsioni crescenti della semi-ballad ruvida e ossidata “Real house wibes (desperate house vibes)”. La languida “twist” ondeggia tra (tentati e) parziali rimandi a un folk sixties in stile Animals e a uno più trasognato in direzione Mazzy Star, corredati da guitar-riff dal sapore blues; si riprende quota con i ritmi della più breve “worlds greatest emoter”, che segue gli standard usuali del trio londinese, incentrati su un’estetica lo-fi nineties, con accenti britpop che omaggiano i Pulp di Jarvis Cocker. La riflessiva “calm down with me” non aggiunge troppo alla narrazione dei Nostri che già conosciamo, avviandosi verso una parte di percorso costellata di alti e bassi, i secondi in particolare rappresentati dalla lentissima partenza di “Shoo”, caratterizzata da intermezzi distanti e rintocchi di tastiera di memoria trip-hop, e la notturna “que suprise”.
All’interno di “Hi fiver” viene riproposta una formula sonicyouthiana fatta di voci distorte avvolte da una nube rumorosa, per poi cedere il posto alla cadenza ripetitiva di “Brush w Faith”, dove le chitarre prendono gradualmente il sopravvento. L’ennesima interpretazione dei soliti accordi dinoccolati sfruttati dal gruppo è fornita da “glory hunter”, mentre l’apertura melodica di “sounds like you had to be there” si dirige verso sussurrate e dilatate derive dream-pop che chiamano in causa Cocteau Twins, Lush e Slowdive.
Le liriche della semi-acustica “Jelsy” trattano il tema dell’isolamento sociale e fungono da anticamera per l’ultimo passaggio di voci, che sfuma via sulle chitarre scricchiolanti di “bibs”.
Cavalcare l’onda di un buon lavoro per mantenere alta l’attenzione può senz’altro risultare conveniente, ma a volte lasciar decantare un po’ di più il materiale che si ha in serbo non è una cattiva idea: con “The Twits” i bar italia rinnovano le atmosfere “noir” sfoderate con il precedente “Tracey Denim”, peccando tuttavia di ripetitività in più occasioni, soprattutto nella parte centrale del percorso.
14/12/2023