"Il tuo palazzo sembra una città tra le urla/ Non sento più la tua aggressività che mi culla", cantava un Blanco ancora sconosciuto a inizio 2021, ne "La canzone nostra" che apriva "OBE" di Mace. Nel 2021 ha dominato il mainstream a suon di hit come "Mi fai impazzire" (otto platini) e "Notti in bianco" (sei platini), sbancando con l'album d'esordio "Blu celeste" (altri sei platini), ottenendo, poi, l'investitura ufficiale di popstar italiana con la vittoria a Sanremo nel 2022 grazie a "Brividi" (con Mahmood; altri sei platini). Anche nel 2023 ha fatto parlare di sé, in particolare quando, sempre all'Ariston, ha preso a calci le rose della scenografia, subendo per questo delitto migliaia di indignatissimi commenti. Il fatto che sia amato da alcuni e odiato da altri è una novità solo per chi non abbia idea di quanto sia polarizzante ogni questione in questa bastarda era social.
Oltre al gossip martellante, le polemiche sterili, i risultati entusiasmanti degli streaming e l'hype smisurato dei media, Blanco rimane un cantante giovane e ambizioso, forse ancora artisticamente immaturo ma animato da un'urgenza espressiva che lo collega al cantautorato, dopo aver reciso i collegamenti con la trap, secondo un'estetica che fa dell'emotività esasperata il suo fulcro. La prima delle dodici canzoni del secondo album "Innamorato", chiamata non a caso "Anima tormentata", spinge a tavoletta proprio su questo, con un'apertura gotico-operistica di grande impatto, prima che un frenetico pop-punk elettronico confermi che le produzioni di Michelangelo sono essenziali quasi quanto la voce del titolare e le sue solite sillabe mangiucchiate, gli acuti e le acrobazie che lo rendono riconoscibile in pochi secondi.
Proprio nell'opener canta "Ho un diavolo sulla spalla destra che mi parla/ E un angelo su quella sinistra che mi salva", a riassumere l'equilibrio precario che fa coesistere in scaletta la jungle assordante ed emo di "Ancora, ancora, ancora" e la pianistica, prevedibilmente accorata, "Lacrime di piombo", oltre a pop-rap-rock come "L'isola delle rose" e "Scusa", che ritornano alla formula collaudata dell'esordio.
Come accadeva in quest'ultimo, alle volte i testi risultano fin troppo adolescenziali, come quando su una chitarra acustica molto cliché canta "Innamorato/ Di un tramonto che ogni sera poi si spegne dietro un campo/ E io poi ci piango" o quando ripropone, con un arrangiamento da falò in spiaggia nella conclusiva "Vada come vada", certe panzane da relazione tossica quali "Il mio pеggio non ha fine/ Te lo devi subire".
Meglio quando è l'interpretazione a brillare, come nell'r'n'b rabbioso di "Fotocopia" o quando Michelangelo tira fuori un asso nella manica, tipo l'elettronica convulsa di "La mia famiglia", sul punto di sfaldarsi tra beat rumorosi e synth malandati.
Per il suo secondo album Blanco trova quindi un compromesso, replicando il sound dell'esordio ma anche lasciando spazio a produzioni più creative, che ne esaltino la dualità. Ancora diverse le ovvietà nei testi, e debolucci fino allo stereotipo e al patetico certi passaggi intimisti, che non mancheranno comunque di stregare certo pubblico.
Unica ospite sua maestà Mina, per "Un briciolo di allegria", dove la voce di Blanco s'impasta con quella monumentale di lei: il suo vocalizzo, con cambio di ottava, è un regalo inestimabile a un pop-funk ideale per farsi notare (anche) da chi i vent'anni li ha vissuti in lire.
18/04/2023