Eleganti, di ricerca, cosmopoliti e trasversali, in circa dieci anni di carriera i C’mon Tigre hanno messo a segno una discografia di tutto rispetto, dalle asperità terzomondiste e post-progressive dell’esordio omonimo del 2014 alle eleganti volute cinematiche di "Scenario", passando per la grazia agrodolce, obliqua, fascinosissima di "Racines", a tutt’oggi per chi scrive vetta insuperata e sintesi onnicomprensiva della creatività del duo e dei loro collaboratori.
In questo nuovo album vengono riprese le atmosfere più sensuali e lussureggianti del lavoro precedente, ma l’ensemble le declina in una accattivante nuance tropicalista. Il Brasile è egemone nell’immaginario delle tracce e permea sia il notevole lavoro percussivo, giunto ormai a un livello tecnico e di feeling impressionante, sia gli arrangiamenti pastosi e avvolgenti.
I feat. aprono altrettanti mondi e danno impulsi al viaggio introspettivo e antropologico. “The Botanist” si avvale della partecipazione di Seun Kuti. Il brano e il suo bellissimo video chiariscono le coordinate tematiche del disco. La mente è come un giardino, un habitat appunto, da coltivare, sollecitare, curare. In esso l’uomo potrà avventurarsi alla scoperta di sé con la tenacia docemente ossessiva di un botanico, capace di riconoscere i nomi di quelle piante vulnerabili che sono i nostri pensieri. In “Teen Age Kingdom” la cantautrice brasiliana Xênia França regala la sua sensuale e pregnante vocalità a una sorta di delicata riflessione sul problematico narcisismo del mondo adolescenziale.
“Sento un morso dolce”, con l’amico di sempre Giovanni Truppi, è uno stream of consciousness fra incubo e realtà, che nella sua irrazionalità apocalittica ci restituisce un Truppi molto meno composto e sentenzioso che negli ultimi album. Il picco emotivo della scaletta può considerarsi la traccia conclusiva "Keep Watching", in cui la personalità apollinea di Arto Lindsay si apre in un largo, magnetico sirventese riguardante gli odierni meccanismi del controllo sulla persona e sulle sue facoltà di scelta.
Ma sono pregevoli anche la traccia di apertura “Goodbye Reality”, il cui respiro cosmico risente di Alice Coltrane e del Kamasi Washington di “The Epic”, “Na Dança Das Flores”, che riporta alle atmosfere ariose di “Scenario”, mentre “Sixty Four Seasons” stacca rispetto al mood dominante, richiamando, col suo profilo spigoloso, addirittura le atmosfere del primo album.
"Nomad At Home" e "Odiame" sono più elegiache, la prima sul senso di non appartenenza, la seconda più genericamente esistenziale, entrambe riscaldate da una delle costanti di questo disco: il pathos. Componente in risalto anche dove la leggereza aerea e poliritmica dei pezzi dissimula l’intensità di un battito vicino tanto a quello del cuore, quanto a quello della terra.
28/12/2023