Dopo un’assenza durata ben sei anni (quelli intercorsi fra “Requiem” e “Oh Death”, interrotti soltanto dalla raccolta di outtake “Headsoup”), il collettivo svedese è tornato a essere prolifico, diffondendo due album e un Ep nello spazio di soli dodici mesi. Confermatissima la formula, che continua a catturare l’attenzione sia per le soluzioni sonore proposte (una forma di psichedelia fortemente contaminata dalla world music), sia per la costante cura riservata agli aspetti estetici (le maschere utilizzate sin dagli esordi) e anagrafici (la fitta coltre di mistero che avvolge l’identità dei musicisti coinvolti nel progetto).
“Medicine” non esce fuori dal seminato, catturando uno psych-folk tendente in un paio di episodi verso dilatazioni ai confini col prog. Una ricetta basata su fuzz e flauti, groove e richiami ancestrali, synth cosmici e wah-wah, assoli liquidi e riflessioni acustiche. Un rito sciamanico avvolto nel paganesimo, ricco di suoni ancestrali che arrivano dall’estremità Nord dell’Europa. Evidente come in alcuni casi le canzoni che compongono “Medicine” siano estratti da lunghe jam session: è il caso di “Vakna” e dell’iniziale “Impermanence And Death”, perfette istantanee di questo tipo d’approccio.
“Raised By Hills” e “Tripping In The Graveyard” (il tema della morte resta fra i più gettonati nelle loro composizioni) sono ritmati folk elettro-acustici, il mantra “I Became The Unemployment Office” immerge nel kraut i Brian Jonestown Massacre più lisergici, “TSOD” trae ispirazione dai Beatles zona “Sgt. Pepper’s”, versante Harrison.
Altre sfaccettature del loro coloratissimo prisma sono rappresentate dalla più meditativa “You’ll Be Allright” e dal delirio iper-fuzz di “Join The Resistance”, cover di un pezzo pubblicato pochi mesi fa dai connazionali GÅS, band nella quale graviterebbero proprio membri dei Goat.
15/10/2023