Riascoltando dopo anni gli album di Jacopo Incani, emergono sempre nuove ipotesi interpretative, nuove letture possibili, come se la sua discografia fosse in continuo divenire. Ascoltando per la prima volta il live “Qui noi cadiamo verso il fondo gelido” si percepisce soprattutto la sensazione di grande compattezza di questa discografia, nel senso che album in apparenza diversissimi tra loro come “La macarena su Roma”, “Die” e “Ira”, in effetti, non hanno fatto altro che mettere a fuoco - da punti diversi - le stesse idee che stavano al centro del progetto Iosonouncane.
In “La macarena su Roma”, Incani aveva posto come punto di osservazione della realtà l’italiano, spesso gretto e in balia di pulsioni razziste, violente e narcisiste, zombie ammaestrato dagli urlatori delle tv e dai social. In “Die” si era spostato osservando la realtà dal versante degli immigrati, delle vittime del razzismo descritto nel primo Lp, e aveva colto come il destino finale del migrante, se la morte non lo coglie prima in mare (“falce viene, si trascina nel sale”) sia proprio quello di giungere in una spiaggia (“steso al sole”, vivo o morto poco importa), lo stesso sogno degli italiani che dopo un anno di lavoro si ritrovano tutti insieme ammassati per una settimana nella medesima spiaggia, come se questa fosse la massima realizzazione possibile nella loro vita. Due vite apparentemente opposte che giungono infine nello stesso luogo: la giovane donna italiana sdraiata al sole e un immigrato steso in fin di vita in una spiaggia (la copertina di “Die” volutamente ambigua, sia nell'immagine sia nel testo, dove Die può significare alternativamente una giornata - passata in spiaggia - oppure morire).
“Ira” invece rappresenta l’innalzamento sopra ogni parte, un tentativo di allontanarsi da tutto, dalla valanga di parole di “La macarena su Roma” e dagli aspetti metaforici di “Die”, per dimenticare persino la propria lingua, forse ritenuta inutile per comunicare davvero con l’uomo del Ventunesimo secolo.
“Qui noi cadiamo verso il fondo gelido” testimonia due anni di concerti, dal 2021 al 2022, segue l’evoluzione di “Ira” e si allontana il più possibile dall'industria della musica dal vivo. Dopo aver preso parte nel mondo (prima l’uomo italiano e poi l'immigrato) Incani sposta il proprio punto di osservazione verso l’alto, dove si è più soli possibili. I live di Incani sono quindi imprevedibili, alieni all’idea troppo frequente e francamente ben poco artistica di karaoke di massa che la musica mainstream live odierna sembra essere diventata. La neolingua di Incani impedisce ogni forma di canto da parte degli spettatori, costringendo all'attenzione assoluta verso la musica, che al contempo non è mai esattamente come ci si aspetta.
Di certo sono presenti i suoi brani più celebri, come “Ashes”, “Tanca”, “Prison” o “Hajar”, ma fondamentalmente i live di Iosonouncane hanno l'obiettivo dell'imprevedibilità e del disorientamento, per questo le tracce più interessanti sono quelle non presenti nella discografia ufficiale (ben undici su diciotto) e apparentemente improvvisate, come “Trombe”, con urli di fiati sulle consuete basi di synth, o “Bestas”, con le sue percussioni ripetitive e stilettate sintetiche.
La band di Incani cerca il trip, il viaggio interiore dove sia possibile essere altrove, da un'altra parte rispetto al proprio corpo. Non mancano anche possibili citazioni, forse Klaus Schulze in “Voci” ad esempio, ma ciò che colpisce in fondo è la costante sensazione di una materia sonora in divenire, che offre sempre sensazioni diverse a ogni ascolto; in fin dei conti, i live di Incani sono una lunga caduta dall'alto verso il gelo della consapevolezza. E non è poco.
26/11/2023