Ogni promessa è debito. Nel corso di alcune interviste concesse per la promozione di “Closure/Continuation”, l’ultimo lavoro a marchio Porcupine Tree presentato lo scorso anno, l’instancabile Steven Wilson preannunciò di aver già in mano un nuovo album da solista e che esso sarebbe stato caratterizzato da un massiccio utilizzo dell’elettronica. Non è più un segreto, infatti, l’amore profondo che il poliedrico artista inglese prova ormai da svariati anni per le elaborazioni provenienti da software, plugin, programmazioni, nonché sintetizzatori, digitali e analogici, relegando in un cantuccio tutti gli approcci sostanzialmente basati sulla chitarra elettrica che avevano eretto le fondamenta (soprattutto) del lungo percorso seguito con i Porcupine Tree.
Sul fatto che Wilson sia un cantautore e compositore eclettico non è necessario approfondire ulteriormente, l’ascolto dei suoi dischi lo testimonia più di ogni parola. Ciò che colpisce maggiormente, ascoltando le sue produzioni, è quella smania di dimostrare a se stesso che nessun ambito gli è precluso, nella piena consapevolezza di trovare totale soddisfazione in tutto ciò che fuoriesce dalla sua diabolica mente. “The Harmony Codex” è il suo settimo album, nato durante il periodo pandemico, ancor prima della pubblicazione di “The Future Bites” (2021). Un titolo che fa riferimento a un racconto che Wilson inserì tra le pagine del suo recente libro “Limited Edition To One”, testo nel quale aveva sviscerato molti aspetti che hanno contrassegnato la sua impervia parabola artistica, ma che gli hanno comunque consentito (con sua somma sorpresa) di raggiungere il successo, anche commerciale, e ottenere numerose attestazioni di riconoscimento.
Va detto che la sua progettualità artistica ha sempre previsto, soprattutto nei lavori solisti, una spasmodica attenzione a non ripetere il medesimo canovaccio strutturale, talvolta sorprendendo anche i più avvezzi. Anche in questo caso l’obiettivo sembra raggiunto: progressive-rock, pop, psichedelia, tratteggi di jazz e tanta elettronica sono i gustosi ingredienti di questo articolato prospetto.
Le lunghe suite “Inclination”, “Impossible Tightrope” e “Staircase” mostrano la motilità e la dovizia delle intuizioni di Steven Wilson, voglioso, in questi brani, di alternare continuamente gli scenari sonori, proponendo con costrutto anche misture sulla carta poco consone a congiunzioni, come archi ed elettronica ambient ovvero sassofono e tendenze post-industrial.
I pattern che solleticano “Economies Of Scale” tracciano una linea stilistica decisamente innovativa per il musicista britannico, tesa a proporre fragranze prog-jazz che vanno a posizionarsi in un’ipotetica zona presidiata da Massive Attack e Radiohead.
Non mancano soluzioni più immediate, come da almeno un paio di suoi album a questa parte. “What Life Brings” e soprattutto “Rock Bottom” tendono la mano al mondo pop, conservando un alto grado d’intensità e pregio. Nel secondo dei due brani citati, è il duetto con l’artista israeliana Ninet Tayeb (autrice del pezzo) a ritagliarsi uno degli spazi essenziali dell’intero disco. Un rapporto consolidato, il loro, che aveva già guadagnato applausi ai tempi di “To The Bone” (2017), forse l’album più vicino al pop pubblicato da Wilson. In quest’occasione l’efficacia interpretativa di Tayeb collima alla perfezione con le armoniche molto floydiane previste da Wilson, su un testo che tratta la difficoltà nell’affrontare una crisi sentimentale, vicina alla rottura, ma che cerca di conservarsi in ogni modo (il videoclip è di certo evocativo).
Come confidato dallo stesso artista, il brano preferito tra quelli inseriti in “The Harmony Codex” è “Beautiful Scarecrow”: oscuro, sintetico, dilatato, che cresce con trascinante veemenza, marcato dalla presenza di archi volti a spezzare le ansie elettroniche incastonate su ambientazioni ben poco rassicuranti. E’ questo il momento in cui la smania di Wilson nel ricercare nuovi suoni estratti dalle miriadi di plugin che ha avuto modo di manipolare trova finalmente l’agognato ristoro.
Se questo schema riscontra analogie anche in “Actual Brutal Facts”, nella title track le atmosfere sintetiche si allargano verso orizzonti illimitati, onirici, composti su una melodia ipnotica che non osserva variazioni metriche, ma che si alimenta di soluzioni sonore crescenti e avvolgenti. Da segnalare lo splendido videoclip d’accompagnamento realizzato da Miles Karin e prodotto da Crystal Spotlight.
Per i fan di lunga data, la buona notizia che emerge tra i solchi è che Steven Wilson, tra le innumerevoli ricerche sonore perpetrate, è finalmente tornato a impugnare la chitarra con maggiore insistenza rispetto ai propri lavori solisti precedenti. Fondamentale per la riuscita del progetto, la partecipazione di insigni collaboratori, alcuni ormai affezionati sessionman, oltre a nuovi intervenuti quali Nils Petter Molvær, Guy Pratt, Nate Wood e Sam Fogarino. Ognuno di loro è stato selezionato con dovizia, in riferimento alle proprie caratteristiche e soprattutto alle finalità che Steven ha disegnato per ogni singolo intervento.
Da non trascurare, inoltre, i remix inseriti nell’ampia (tripla) versione Deluxe del cd, dove artisti del calibro di Manic Street Preachers, Interpol, Roland Orzabal, Faultiline e Meat Beat Manifesto hanno sapientemente rivisto tutti i brani presenti in scaletta.
“The Harmony Codex”, come accennato in apertura, è un disco multiforme, probabilmente non il migliore in assoluto della produzione solista di Steven Wilson, ma che non sorprenderebbe, col tempo, veder scalare le posizioni di un’ipotetica graduatoria, fino a raggiungere la posizione d’élite.
Registrato, come sempre, in modo impeccabile e da ascoltare, se possibile, con strumentazione idonea per gustarne ogni recondito dettaglio, “The Harmony Codex” conferma che siamo al cospetto di un artista completo e di grande spessore, nel suo percorso da solista lanciato verso l’assoluta libertà d’azione, situazione che all’interno dei Porcupine Tree non può necessariamente accadere.
Molti assegnano a Steven i gradi di erede moderno del progressive-rock. Non credo che questa sia una definizione a lui totalmente gradita, perché ritenuta un po’ restrittiva, seppur indicativa di oggettivi riferimenti che lo hanno forgiato fin da giovanissimo. La sua arte viaggia fortunatamente senza una definizione precisa e, statene certi, il suo prossimo album prevederà l’ennesima virata volta a sparigliare nuovamente le carte.
05/10/2023